sabato 22 ottobre 2016

Strange Circus: Recensione

Titolo originale: Kimyō na Sākasu
Regia: Sion Sono
Soggetto: Sion Sono
Sceneggiatura: Sion Sono
Musiche: Sion Sono
Produttore: Sedic
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2005


«Ero stata condannata a morte fin dalla nascita. O forse... era mia madre a dover essere giustiziata e ci siamo scambiate di posto.»

Uscito nel 2005, "Strange Circus" rappresenta forse la piena maturità artistica di un Sion Sono sempre più elaborato e incisivo, che – lasciatosi alle spalle la critica sociale di "Suicide Club" e il nichilismo disperato di "Noriko's Dinner Table" – mette in scena un lucido e sfarzoso incubo a metà tra realtà e finzione, che scava con una perizia quasi lynchiana nelle pieghe nascoste dell'inconscio. Il film prende il via con il (meta)racconto della bella e algida Taeko, scrittrice di successo imprigionata su una sedia a rotelle; l'ultimo libro della donna racconta la cruda storia di Mitsuko, bambina violentata dal padre e costretta dallo stesso a spiare i genitori durante i loro atti sessuali, nascosta nella custodia di un violoncello. La bambina finisce così per attirare su di sé anche le gelosie della madre, figura nella quale si era sempre identificata, che comincia a picchiarla e a maltrattarla: questo fino a quando la piccola Mitsuko, per difendersi dalle percosse, spinge accidentalmente la donna giù dalle scale, uccidendola. È l'inizio di un'allucinante spirale di eventi, a cavallo tra passato, presente, realtà e sogno.


La cifra stilistica dell'autore, sempre in bilico tra una rappresentazione stratificata dei diversi piani narrativi e un crudo romanticismo quasi ascrivibile alla corrente ero guro, si palesa in uno splendido incipit che descrive con traumatico realismo i rapporti incrinati e oppressivi alberganti tra le mura domestiche di una famiglia, che sembrano affliggere in egual misura sia la figlia che la madre, entrambe vittime dei malati e incestuosi abusi paterni. La virtuosa regia di Sono mette al centro il tormentato dualismo di queste due figure, rappresentandone la personalità infranta con espedienti visivi di rara ispirazione e ponendone in discussione l'identità individuale; i numerosi specchi presenti nella casa rifrangono le loro immagini speculari, in uno sdoppiamento a livello inconscio che va ad affliggere di riflesso l'intera struttura narrativa. La pellicola infatti si dispiega come un criptico meccanismo ad incastri, che ingranaggio dopo ingranaggio costruisce un tessuto narrativo tanto fulminante quanto ambiguo; verso gli ultimi minuti, quando i pezzi iniziano a incastrarsi e le congetture sembrano ormai essersi trasformate in certezze, una serie di clamorosi ribaltamenti narrativi sancisce la natura caleidoscopica del film, trasportandolo verso territori allucinati e irreali.


Horror ed erotismo si fondono dunque con l'immaginario onirico, che si insinua nella pellicola con affilata precisione. Chi è Taeko e qual è la ragione dei suoi traumi? Mitsuko esiste davvero? Cosa è reale e cosa non lo è? Sion Sono come da suo solito non fornisce risposte certe, ma gioca con il linguaggio cinematografico sovrapponendo i piani narrativi e imbastendo l'opera di segmenti grotteschi, disturbanti e di grande impatto visivo. Il rifiuto dell'identità inteso come meccanismo difensivo viene quindi lasciato in balìa dell'indeterminatezza narrativa e della psicologia malata dei personaggi; la bellissima e magnetica Masumi Miyazaki regala un'interpretazione da antologia, dimostrando un talento versatile che le permette di impersonare con la stessa efficacia ben tre ruoli differenti.


La messinscena barocca, valorizzata da una fotografia ricca di contrasti cromatici e composizioni raffinate, regala alla pellicola un estetismo straniante e antitetico rispetto alla morbosità e alla crudeltà delle vicende, anche grazie alla colonna sonora che attinge a splendidi brani del repertorio classico, producendo un effetto similare a quello ottenuto da Kubrick in Arancia Meccanica. Degne di nota sono inoltre le alienanti e felliniane scene circensi che scandiscono l'inizio e la fine del film, sfumandone i già labili confini che separano realtà e visione di un grandioso esercizio di stile perfetto in ogni suo ingranaggio, che con rara originalità coinvolge, convince e lascia spiazzati.











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