sabato 10 settembre 2016

Zettai Shounen: Recensione

Titolo originale: Zettai Shounen
Regia: Tomomi Mochizuki
Soggetto: Ajia-do, Genco, Kazunori Ito, Sogou Vision, Toys Works
Sceneggiatura: Kazunori Ito
Character Design: Masayuki Sekine
Musiche: Hikaru Nanase
Studio: Ajia-do, Genco
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 2005


«E’ dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, […] ma lagrime ancora e tripudi suoi. […] Noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena meraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. Il quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell’età giovanile forse così come nell’età matura, perchè in quella occupati a litigare e perorare la causa della nostra vita, meno badiamo a quell’angolo d’anima donde esso risuona.» [Giovanni Pascoli]

Ayumu Aizawa è un adolescente introverso, apatico e di poche parole, che durante l'estate si reca dal padre, che risiede in una piccola cittadina di campagna. Mentre vaga senza meta per le strade di un luogo privo di attrattive, egli incontra Miku, una bambina che parla e ragiona come un'adulta, la quale lo invita a cercagli il suo amico scomparso, Wakkun.
Per caso, in un giorno apparentemente noioso e ordinario come tanti altri, finalmente Ayumu incontra Wakkun, ma quest'ultimo, ben lungi dall'essere un bambino in carne ed ossa, si tratta di una sorta di Zashiki-warashi con gli stessi abiti e le stesse sembianze che Ayumu aveva in tenera età. Wakkun interagisce con alcuni strani yokai che paiono più degli UFO che delle creature del folklore giapponese, delle “fate materiali” le quali, all'occorrenza, da bizzarri oggetti meccanici luminosi si trasformano in bolle di energia che vagano per l'aria allo stesso modo del polline. Come se da questo incontro Ayumu avesse recuperato un frammento smarrito della sua anima, egli si reca assieme al sé stesso bambino a giocare nel bosco, ammirando la semplicità della natura e delle cose, senza pretesa alcuna. Ma dopo questo evento, in città incominciano a diffondersi voci indiscrete, secondo le quali dei kappa sono apparsi in un ambiente ormai violato dalla precarietà del misterioso e dell'inaccessibile. La giornalista Akira Sukawara, attratta da questo clima insolito, incomincia ad indagare sulle misteriose apparizioni, interagendo con gli asettici ritratti di una giovinezza svuotata e malinconica la quale, con la dovuta sofferenza interiore, sta muovendo i primi passi verso l'adultità. 


Kisa Tanigawa è una bellissima ragazza la quale, dopo essere stata oggetto di bullismo alle superiori, ha deciso di non frequentare più le lezioni, e di vivere alla giornata, deambulando per le vie della città, d'inverno, circondata dal grigiore delle costruzioni attorno a lei, grigiore che si fonde a dovere con i cupi colori del suo mondo interiore - squarciato da una vita senza scopo e dal peso della depressione. Il suo mal di vivere viene tuttavia alleviato da una bizzarra “fata meccanica” dalla forma di un pallone di Rugby, che ella ha battezzato, con molto affetto e dolcezza, “Bun-chan”, come se si trattasse di un caloroso animaletto. Quest'ultimo però non si tratta di una “fata” come quelle del paese estivo di Ayumu; la Sukawara, infatti, sempre sulle tracce degli eventi paranormali legati ai “kappa” - è passato un anno e mezzo dall'ultima apparizione di Wakkun -, classifica Bun-chan e affini come “malignità materiali”, scoprendo che esse sono in “guerra” con le “fate materiali” della campagna.
La reazione di Kisa ad un triste evento indotto dal suddetto conflitto è struggente, ed ella, incapace di affrontare la realtà, si lascia andare, chiudendosi nella sua stanza colma di gingilli elettronici come una perfetta hikikomori, tagliando ogni contatto col mondo esterno, anche col suo fidato amico innamorato di lei, Shigeki Kobayakawa, altra vittima dell'onnipresente bullismo – perfetta metafora della durezza della società giapponese – il quale, d'altro canto, reagisce alle insidie del mondo esterno coltivando la sua particolarissima passione per lo Shogi, del quale vuole diventare un giocatore professionista. Ma tra un giorno ordinario e l'altro, nel quale ci si aggrappa allo straordinario per fuggire da ciò che fa soffrire, lo straordinario decide di manifestarsi definitivamente agli occhi di tutti, rompendo il velo delle convenzioni: ed ecco apparire in alto, nel cielo grigio, un enorme UFO dalle sembianze di un sincrotrone volante, dal quale sembrano provenire le varie “fate” e “malignità” dell'altro mondo, che interagiscono e si annichiliscono tra loro come se si trattassero di particelle nucleari - i costituenti elementari della natura.


“Zettai Shounen” è uno slice of life molto particolare, nel quale il passaggio dall'adolescenza all'età adulta – tematica cruciale nell'animazione giapponese, sicché nella società nipponica l'infanzia, la vecchiaia e l'adolescenza sono gli unici periodi “privilegiati” della vita – viene sviscerato in modo alquanto “pascoliano”, ovvero con la dovuta enfasi sull'incapacità di vivere dei protagonisti, sulla loro difficoltà di uscire dal nido, nonché sul loro bisogno di conservare il lato più puro e infantile della personalità una volta entrati nel grigio mondo degli adulti. Dotata di un mood agrodolce e sofisticato, con la sua grafica giocattolosa e i suoi colori brillanti, l'opera sceneggiata da Kazunori Ito – rinomato braccio destro di Mamoru Oshii - è caratterizzata da un ritmo lentissimo, giapponese in tutto e per tutto; l'eleganza delle immagini, l'acume e la complessità dei dialoghi, la commistione tra folklore shintoista e tecnologia che sfocia nel mistero e nell'indefinito, sono tutte caratteristiche le quali, con una certa dolcezza, fanno da contorno ad una storia dai forti connotati simbolici in cui – in modo affine al pensiero orientale – non accade praticamente nulla, giacché è la percezione stessa delle cose a conferire loro valore e “movimento”.


«In passato, le regioni più alte di questa montagna erano inaccessibili. Ma adesso, ognuno può andarci a suo piacimento. Ciò che è sacro e ciò che è mondano... Il normale e l'anormale... Nel passato, i confini tra questo genere di cose erano strettamente protetti. […]»
«… Io davvero non so di cosa tu stia parlando.»
«Oggigiorno, con la gente che ragiona a questo modo [si riferisce all'apatia intellettuale di Ayumu], i confini tra le cose si agitano. E quando ciò accade, la membrana del mondo si dirada. E poiché si dirada... questi esseri che dovrebbero esistere in altri domini si mostrano nel nostro mondo. Ma ciò non è né buono né malvagio. Semplicemente è.» [Dialogo tra Heigorou Suzuki e Ayumu Aizawa]

La gioventù di “Zettai Shounen” - per ovvi motivi - è quella giapponese di inizio anni duemila che, privata di punti di riferimento fissi sui quali contare e catapultata in un mondo ostile e scevro di prospettive future, si rifugiava, in preda alla depressione e all'apatia, in un incerto rifiuto del mondo esterno, misto all'insofferenza dovuta all'esclusione dalle sue dinamiche ed interazioni. Ma in fondo, l'opera scritta da Kazunori Ito appartiene al ben noto filone della Nuova Animazione Seriale, e con ciò si fa carico delle tematiche tipiche di tale corrente, in particolare della presa di coscienza sociologica del postmoderno e delle reazioni dei giapponesi a tale mutamento.
Il “punto di riferimento fisso” dell'opera sono gli anziani, che vengono sempre dipinti come sagge guide spirituali da ascoltare e comprendere; immuni ai dubbi e alle ambiguità caratteristiche del tempo in cui sono cresciuti i giovani come Ayumu e Kisa, essi, allo stesso modo della generazione di Ito, osservano la postmodernità dall'esterno, e dispensano perle di saggezza sul come viverla, senza condannarla né demonizzarla, sicché sono immuni a quell'assai diffusa idealizzazione del passato – squisitamente indotta dal narcisismo - tipica della maggiorparte delle loro controparti reali. Quello che il vecchio Heigorou Suzuki dice al protagonista contiene in sé proprio la constatazione del crollo delle differenze tra “sacro” e “profano”, tra “alto” e “basso”, ovvero, in altre parole, la “liquefazione” della verticalità e dell'incorruttibilità dei valori giapponesi. Le varie “fate” dello shinto provenienti da questa incapacità di definire assetti antropologici verticali sono anche “meccaniche”: nel postmoderno giapponese, la tradizione deve integrarsi armonicamente con la tecnica, senza tuttavia perdere la sua identità ed arcaicità. La pigrizia intellettuale e l'inettitudine di Ayumu e soci pertanto devono venire meno, e a tal fine l'opera lancia numerosi messaggi positivi alla fragile gioventù del suo tempo – «Trust Yourself», «Think and Act», delle scritte sui muri inquadrate più volte nel corso del secondo arco.


«Su tutto il pianeta i videogiochi appaiono realistici, e vengono creati film fatti interamente in computer grafica, come se la realtà stesse diventando l'illusione.
Stiamo vivendo in un'era in cui la linea tra virtuale e reale è offuscata.» [Notiziario]

Sebbene “Zettai Shounen” sia un'opera dimenticata e sottovalutata dai più, ad occhi attenti e privi di pregiudizi si rivela un coacervo di riflessioni tipiche del suo tempo – non molto distante dal nostro -, alcune delle quali rivelano palesemente la mano di un Kazunori Ito il quale, nella plumbea quiete che caratterizza il titolo, riprende in modo più leggero uno dei risvolti del capolavoro cinematografico “Patlabor 2” e, in generale, della poetica di Mamoru Oshii: l'impossibilità di definire una linea di demarcazione nitida tra realtà e illusione nel contesto in cui viviamo. Ed ecco che Kisa, dato che ritiene che nel mondo reale nessuno possa comprenderla veramente, si rifugia nella sua stanza vedendo nel suo pseudo pallone da Rugby Bun-chan l'unico oggetto degno del suo candore ed affetto, un amico magico e meccanico allo stesso tempo, che i più non possono vedere, ma sul quale ella è convinta di poter fare affidamento per non sprofondare ancor più nel baratro della depressione. La solitudine dei personaggi di “Zettai Shounen” viene rappresentata senza alcuna tendenza al melodramma, in modo secco e realistico, grazie all'accurata gestione di silenzi e dialoghi.


Ma “Zettai Shounen” non è soltanto Kisa e Ayumu; nell'opera vi è un velato parallelismo tra le interconnessioni delle numerose particelle/”fate meccaniche”, che s'interfacciano tra loro in un insieme totalizzante d'interazioni – questo in fondo è la Natura – il cui scopo – sempre se ce ne sia uno - non è accessibile alla mente umana – la natura dei misteriosi yokai meccanici e i motivi della loro esistenza non verranno mai rivelati -, e quelle che legano gli esseri umani, una moltitudine di ritratti disparati ed eterogenei la cui realistica caratterizzazione ben si amalgama con le tematiche trattate. C'è Shione Unno, che vorrebbe fidanzarsi con un ragazzo ben visto da tutti per integrarsi nella società e superare il suo disagio derivante dalla mancanza di una posizione ben definita nel mondo; c'è l'artista fallito Jirou Hatori, vagabondo ai margini del sistema che si diletta ad osservare le persone dall'esterno senza “sporcarsi”, o meglio, senza indossare alcuna maschera - «La gente è sempre alla ricerca di come apparire agli occhi altrui... ma, non importa quale sia il caso, ognuno alla fin fine vede sempre ciò che vuole vedere»; c'è Rieko Yamato, la classica ragazza della porta accanto, la tipica compagna di classe “perfettina” che, nel momento in cui interagisce con persone quali il cupo Shigeki Kobayakawa, si riscopre irritante e banale, e pertanto cerca di cambiare... insomma, sono tanti gli uccelli senza ali che desiderano volare ma non riescono a farlo, ed essi vanno incontro ad un graduale processo di crescita, che li porterà in alcuni casi a rivedere i propri passi – un anno dopo aver incontrato Wakkun, un Ayumu maturato e consapevole dirà: «Tutto quello che è accaduto e tutto ciò che accadrà ha un significato», tradendo pienamente il suo iniziale nichilismo giovanile


Tecnicamente parlando, dal punto di vista di regia e animazioni “Zettai Shounen” risulta abbastanza nella media; ciò che invece eccelle – oltre alla sceneggiatura - è il comparto musicale, dotato di eleganti brani caratterizzati da una “bellezza semplice” che ben si accompagna ai numerosi dialoghi dei personaggi. Sobrio, malinconico, bizzarro ed elegante, l'anime viene incorniciato da una frizzante sigla di apertura e dal canto soave della sigla di chiusura, alla quale seguono esilaranti anticipazioni dell'episodio successivo nelle quali gli animali domestici dei personaggi della serie mettono in scena un brevissimo spettacolo di cabaret carico di uno strampalato sense of humor. Chiusa la parentesi, tornando alla tematica cruciale del cambiamento affrontata nella serie – la crescita delle persone, non soltanto quella esteriore, ma anche interiore -, è bene far notare che essa sia affine ad un substrato psicologico tipicamente giapponese – la riscoperta dei valori del passato e della propria identità in quanto parte di un gruppo.


«Questo mondo è molto più complicato, ricco e pieno di misteri rispetto a ciò che pensa la gente. Dopo che un qualcosa di così inaspettato è stato rivelato [si riferisce all'apparizione dell'UFO/yokai a forma di sincrotrone], non ho altra scelta che cambiare.»
«Ciò di cui stai parlando la gente lo sapeva già. Ce ne siamo soltanto dimenticati.»
«Non potrei ricordare qualcosa per innescare il cambiamento?»
«Tu non puoi dire soltanto che cambierai. Devi farlo e basta.» [Dialogo tra Jirou Hatori e una donna anziana]

In particolare, con la sua raffinata vena poetica l'opera intende stimolare il tipico sentimento giapponese dello “stupore sincero per le cose del mondo”, il Mono no Aware, che, in fin dei conti, è lo stesso che provano i bambini nel momento in cui incominciano ad interfacciarsi con la realtà esterna, che appare loro meravigliosa, illimitata e carica di misteri, sebbene ciò non sia visibile agli occhi di quegli adulti che hanno dimenticato il proprio bambino interiore. In un mondo dominato dalla tecnica in cui tutto è scontato, monotono e uguale, è necessario un cambiamento nel modo di percepire le cose, cambiamento che secondo l'opera può avvenire non soltanto riscoprendo un sentimento atavico assopito dal postmoderno, ma anche prendendo coscienza di sé stessi in quanto esseri umani interconnessi con il tutto. Ciò detto, il fanciullino va accolto attivamente, senza crogiolarsi in esso praticando l'escapismo. Cambiare implica ritornare a vedere il velo di Maya con meraviglia, acquisire una nuova percezione più “emozionale” e “poetica” della realtà, ma senza cascare nel suo inganno e, sopratutto, passando definitivamente all'età adulta, senza rimanere eterni bambini imprigionati nel metaforico utero materno del non-senso e della comodità. Da qui la fondamentale divergenza tra il messaggio di “Zettai Shounen” e quello di Pascoli, sebbene i punti in comune tra i due siano molteplici. D'altronde, il poeta italiano scrisse: «Che in qualcuno non sia, non vorrei credere né ad altri né a lui stesso: tanta a me parrebbe di lui la miseria e la solitudine… In alcuni non pare che egli sia; alcuni non credono che sia in loro… Forse gli uomini aspettano da lui chi sa quali mirabili dimostrazioni e operazioni; e perché non le vedono, o in altri o in sé, giudicano che egli non ci sia.

PS: Clicca qui per un'intervista agli autori e per il location hunting. 














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