domenica 15 novembre 2015

Sailor Moon S: Recensione

Titolo originale: Bishoujo Senshi Sailor Moon S
Regia: Kunihiko Ikuhara
Soggetto: Naoko Takeuchi
Sceneggiatura: Yoji Enokido, Katsuyuki Sumisawa, Sukehiro Tomita, Shigeru Yanagawa
Character Design: Ikuko Ito
Musiche: Takanori Arisawa
Studio: TOEI animation
Formato: serie televisiva di 38 episodi
Anni di trasmissione: 1994-1995
 

Dopo il timido esordio registico di “Sailor Moon R”, Kunihiko Ikuahara prende definitivamente le redini della trasposizione animata di “Sailor Moon”, coadiuvandola con i vagiti di quelli che diventeranno i tratti caratteristici del suo stile personale. Al fianco di colui che qualche anno dopo dirigerà uno dei massimi capolavori dell'animazione tutta - “La Rivoluzione di Utena” - troviamo un Hideaki Anno in veste di animatore chiave, nonché gli artisti i quali, una volta terminata l'esperienza TOEI, collaboreranno con Ikuhara nella veste ufficiale di Be-Papas: Yoji Enokido (tra l'altro uno dei futuri sceneggiatori di “Evangelion”) e l'animatore Shinya Hasegawa.
Le carte in regola per creare un qualcosa di sensazionale ci sono tutte; ora che la prima, storica serie di “Sailor Moon” - nonostante la crisi economica dilagante e lo sviluppo del mercato OAV - ha sdoganato l'animazione seriale novantina con un grande successo di pubblico, si può andare più in profondità, dando alle avventure di Usagi e soci un taglio ben più complesso, adulto, dai risvolti oscuri ed imprevedibili: “Sailor Moon S” è la miglior saga del brand, un'opera seminale la cui influenza stilistica nelle produzioni successive è innegabile.


Visioni d'apocalisse penetrano nella mente di una Rei ancora turbata dal precedente scontro combattuto per la salvezza della Terra dalle Sailor Senshi; le sue amiche si sgretolano come vasi d'argilla, colpite da un vento silenzioso e grave che si agita in tetre lande desolate dai colori rossastri. Ritiratasi nel suo tempio shinto, al riparo dalle corbellerie di Usagi, la visione viene resa meno fugace dal chiarore delle fiamme del fuoco: l'apocalisse è presenziata da un angelo della morte, che si fa carico di una lancia che non emette alcun rumore. Questa figura in grado di porre fine al sistema solare con un solo gesto sembra correlata al fantomatico Messiah, un'entità che uno scienziato pazzo rinchiuso nel suo inquietante laboratorio sotterraneo vorrebbe risvegliare, aiutato dall'energia dal Sacro Graal. Tuttavia, al fine di ottenere il suddetto oggetto sacro, sono necessari i Pure Heart Crystal più limpidi in assoluto, degli oggetti correlati all'anima delle persone che i mostri creati dal folle alchimista non si faranno scrupoli ad estrarre dal petto degli abitanti della città, ignari della nuova, grande minaccia che le Sailor Senshi si ritroveranno a combattere.


Insolitamente, con un magistrale ribaltamento di ruoli, le cinque protagoniste si scoprono impotenti e incapaci di influenzare i misteriosi eventi che le circondano; non riescono a comprendere pienamente il nemico che devono combattere e i suoi obiettivi, e in più si ritrovano surclassate da due nuove guerriere Sailor, Neptune e Uranus, due personalità forti, adulte e prive di scrupoli. Il punto chiave di questo primo frangente dell'opera non è tanto lo scontro delle “buone” contro il mostro tokusatsu “cattivo” inviato ogni settimana dal celebre laboratorio sotterraneo di Souichi Tomoe, bensì il conflitto tra due mondi diversi: quello dell'adultità, rappresentato da Michiru/Neptune e Haruka/Uranus, e quello degli ingenui sogni infantili, dell'innocenza, perfettamente incarnato da Usagi e dalle sue cinque compagne. Il cinismo e la caratterizzazione impeccabile delle due nuove arrivate – le quali tra l'altro vivono un'appassionata romance omosessuale – contrapposto all'ingenuità delle storiche Sailor Senshi, contiene in sé una tematica chiave che diventerà imprescindibile nella poetica di Ikuhara: il conflitto tra idealità e realtà. Se in “Sailor Moon S” sarà la prima a trionfare, ne “La Rivoluzione di Utena” si assisterà al ribaltamento concettuale di tale riflessione: la realtà non si può sconfiggere, e la crescita personale implica necessariamente dei compromessi con il mondo esterno e le sue difficoltà, con conseguente deperimento delle illusioni adolescenziali.


Nell'opera la struttura episodica tradizionale, infarcita dai soliti luoghi comuni delle serie precedenti (i momenti scanzonati, leggeri e demenziali, i siparietti comici incentrati sulle disarmanti ingenuità e negligenze di Usagi, i rituali tipici del tokusatsu d'annata) viene aggiornata mediante una trama ben scritta e decisamente coinvolgente, la più complessa dell'intero universo delle Bishoujo Senshi. Compaiono inoltre i migliori antagonisti in assoluto del brand, in confronto ai quali le classiche “streghe cattive” cliché delle altre serie risultano fin troppo approssimative. Sempre grazie al buon lavoro di scrittura di Enokido, le cinque protagoniste principali, nel momento in cui – come è facilmente prevedibile - verrà rubato il loro rispettivo Pure Heart Crystal, dimostreranno di essere state caratterizzate in modo molto più completo ed introspettivo rispetto alla norma – si pensi allo splendido episodio in cui Ami si domanda cosa farà mai nella vita, angosciata dalle sue insicurezze; oppure al disagio di Makoto Kino, la cui ricerca della femminilità nei suoi domini interiori da caricaturale si farà tragicomica.


La comparsa di una certa dose di simbolismo esoterico – seppur in larga parte fine a sé stesso - conferisce all'anime una certa dose di carisma maledetto; un mood che troverà la sua dimensione ideale negli ultimi frangenti della serie, quelli in cui Haruka e Michiru passeranno in secondo piano per lasciar spazio a Hotaru Tomoe/Sailor Saturn, un personaggio dalle grandi potenzialità che tuttavia, nonostante la sua ottima caratterizzazione, non viene sfruttato appieno dagli sceneggiatori, i quali gli conferiscono poco spazio, senza riuscire a sfruttare pienamente il fascino minaccioso di una tale bomba ad orologeria mascherata da cotanta bellezza e gracilità. Ciononostante, la figura di Hotaru Tomoe diventerà un archetipo nell'animazione successiva a “Sailor Moon S”: ella è la tipica ragazzina introversa, malaticcia, quasi ai limiti dell'autismo, nonché vittima di uno scontro interiore tra ombra junghiana, personalità multiple, strani poteri in grado di annichilire lo spazio ed il tempo. Fatto salvo ciò, soltanto alcuni anime successivi a “Sailor Moon S” riusciranno ad aggiornare con maggior profondità questi elementi, conferendo loro una dimensione ben più complessa ed introspettiva (personalmente, ho trovato molte affinità tra Hotaru Tomoe e la protagonista di “serial experiments lain”, il che è tutto dire). Insomma, la ragazzina moe – il termine moe è diventato famoso tra gli otaku proprio in quanto abbreviazione del cognome Tomoe – dai connotati messianici, in grado di unire in sé le figure di Cristo e del Buddha – Hotaru in alcune scene appare crocifissa, ma è in grado di invocare la morte pagando il prezzo della rinascita, in modo perfettamente compatibile con la spiritualità orientale – nonostante sia stata alquanto “sacrificata” dagli sceneggiatori, diventerà l'oggetto dell'adorazione degli otaku dell'epoca, sdoganando innumerevoli produzioni successive basate sullo stesso topos (si pensi a “Suzumiya Haruhi no Yūutsu” e alla sua protagonista, la quale è allo stesso tempo sia moe che di natura divina).


A livello registico, “Sailor Moon S” si rivela un vero e proprio laboratorio d'immagini i cui modelli sperimentali verranno replicati ed imitati facendo scuola; lo stesso Hideaki Anno ammetterà di essere stato ispirato dal talento di Ikuhara, e prenderà di peso alcune scene dell'opera trasportandole in “Evangelion” - vedere per credere!
Sebbene la regia non sia curata e di alto livello come nel successivo “La Rivoluzione di Utena”, geniali distorsioni della prospettiva - si pensi ai deliri del mad scientist della serie – vengono accompagnate da alcune trovate citazionistiche dal sapore squisitamente postmoderno – la comparsa in un episodio della “Sagrada Familia” di Gaudì (in particolare, non a caso, la sua monolitica e cupa facciata della passione, nella quale l'architetto aveva rappresentato la morte e resurrezione di Cristo), gli orologi molli e altri riferimenti culturali che non disdegnano la cultura pop più alla portata delle masse -, le quali si rivelano assai rocambolesche e stranianti, in perfetta simbiosi con l'apparato “esoterico” dell'opera. Il surrealismo di “Sailor Moon S”, per quanto sia rozzo nelle sue modalità di espressione, è stato una carta vincente in grado di spianare la strada a futuri sperimentalismi ben più ermetici e privi di compromessi commerciali, rispolverando le potenzialità del mezzo animato - che all'epoca si pensavano esaurite. Sonorità inneggianti ai fasti progressivi di “King Crimson” e “Weather Report” si scandiscono accompagnando le immagini più toccanti, aiutate dalla potenza della “Toccata e Fuga in Re Minore” di Bach e da un repertorio classico il quale, con le sue sonate di violino e pianoforte, ben si adatta al mood della serie. 


In conclusione, ancora oggi “Sailor Moon S” si rivela una pietra miliare da riscoprire, possibilmente trascurando l'attuale remake in corso il quale, oltre ad essere di dubbia caratura artistica, non è stato curato dagli autori che negli anni novanta scrissero alcune delle più importanti pagine della storia dell'animazione. Leggero, scanzonato, eppure oscuro, drammatico; la corsa contro il tempo che inevitabilmente condurrà all'apocalisse finale; il coolness factor delle Sailor Senshi, aggiornato dalla bizzarra inventiva di Ikuhara, il cui stile si riconosce con poche inquadrature; il dramma della famiglia Tomoe che assume proporzioni cosmiche; il fascino maledetto di Neptune e Uranus, con tutti i suoi misteri. Le cinque streghe, il Pharaoh 90, i sotterranei della città. I momenti quotidiani scanditi dall'ilarità e dalle ciance, l'amicizia, l'amore. La cinetica potente che scorre nelle pieghe dell'anima. Tutto questo – e non solo - è “Sailor Moon S”.

2 commenti:

  1. La saga grazie alla quale Sailor Moon mi è entrata nel cuore, capisaldo che ha influenzato e che influenza ciò che è venuto dopo nel genere majokko (tra cui Madoka Magica) e che funge ora come ispirazione per il progetto Sailor Moon Crystal (le atmosfere delle prime due saghe sono debitrici di S in toto).

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  2. Concordo, amo profondamente questa serie e la colloco negli indimenticabili dell'animazione giapponese tutta, nonché nella mia top 5 personale. :)

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