sabato 3 ottobre 2015

El Topo: Recensione

Titolo originale: El Topo
Regia: Alexandro Jodorowsky
Soggetto: Alexandro Jodorowsky
Sceneggiatura: Alexandro Jodorowsky
Musiche: Alexandro Jodorowsky
Casa di produzione: PRODUCCIONES PANICAS
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1970


El Topo (La Talpa) è uno dei film più spirituali che abbia mai visto. Capolavoro visionario, sperimentale, surreale, ai limiti dell'esperienza sensoriale e cinematografica, questa grande allegoria infarcita di una marcata dose di esoterismo ed esistenzialismo si rivela ancora oggi formidabile, e allo stesso tempo oscura, impenetrabile. “El Topo” è un grande mosaico decifrabile nei suoi significati più reconditi soltanto se lo spettatore che lo guarda è in grado di comprenderlo e di coglierne, magari dopo innumerevoli visioni, i complessi e potenti rimandi al misticismo sincretistico, i quali vengono somministrati mediante frasi taglienti come sciabole – «il cuore, la testa, cambiali di posto»; «troppa perfezione è un errore» -, deserti che paiono riflettere più l'anima del protagonista che il mondo reale, archetipi, violenza feroce, orgiastica, che nel suo simbolismo riflette la prigionia dell'uomo, un satiro schiavo del desiderio, della follia e della volontà di vivere, perennemente intrappolato nel velo di Maya, il dominio delle illusioni. 


Frutto del poliedrico artista Alexandro Jodorowsky, il film, classificabile a tutti gli effetti come una decostruzione del genere western alla Sergio Leone, è in gran misura influenzato dalle tematiche e dallo stile allucinato di Luis Buñuel: anticlericalismo e critica feroce alla borghesia, tetre fiere dell'orrido e del rivoltante, la religione di massa che diviene un rituale macabro e meccanico, gli ideali di progresso e l'ottusità umana che si agitano nell'inconscio dando origine a inquietanti mostri, schiavi della loro stessa ferocia e dei loro bestiali cliché comportamentali. Si rimane sorpresi nel costatare la perizia registica dell'autore dell'opera, il quale oltre ad occuparsi della regia e della sceneggiatura è altresì costumista e compositore di una colonna sonora quanto mai bizzarra e sentita, la quale si integra perfettamente con gli stranianti aspetti visuali della pellicola. La scelta dei nomi dei brani musicali della OST è perfettamente in linea con i simbolismi del film: in alcuni casi, il titolo di un determinato brano è ancora più incisivo del brano stesso – si pensi a La Muerte Es Un Nacimiento (La Morte è Nascita): un concetto chiave del misticismo viene condensato in un'unica frase di grande effetto.

«La talpa è un animale che scava gallerie sottoterra in cerca del sole. A volte la strada lo porta in superficie, ma quando vede il sole, resta cieco

Il protagonista, un pistolero il cui nome simbolico è El Topo, è in viaggio alla ricerca del senso della sua vita. Inizialmente è assoggettato alle leggi del mondo: la violenza è la risposta a tutto; il desiderio tinge di rosso sangue ogni cosa, non importa chi sia il carnefice e chi sia la vittima: l'importante è soddisfare quell'impulso primordiale che dice di sì alla vita e ai suoi mutamenti. Una volta castrato ed umiliato un papa-colonnello torturatore di monaci francescani, stupratore di donne e uccisore di un intero villaggio di innocenti, El Topo fa della donna del suddetto la sua amante e abbandona il figlio presso i monaci; ma per essere completamente amato da tale sadica e ambigua donna – assimilabile in un certo senso all'archetipo della strega -, è necessario ch'egli sia il più forte di tutti: la donna gli chiede di uccidere i quattro maestri di pistola del deserto, altre figure simboliche legate indissolubilmente all'inconscio e all'autorealizzazione spirituale.


I primi tre maestri hanno molto da insegnare a El Topo, dalla soppressione del dialogo interiore alla ricerca della non-forma, del non-essere – il tiratore cieco che tuttavia sa schivare le pallottole; particolarmente brillante il pistolero costruttore e contemplatore di forme geometriche – «un colpo pulito, delicato, distrugge un colpo preciso», dice dopo aver sparato ad uno dei suoi complicati poligoni, i quali forse simboleggiano la limitatezza della ragione o del formalismo in sé stesso, che dev'essere immancabilmente trasceso dallo spirito. 


Ma il punto cruciale della maturazione di El Topo avviene soltanto nello “scontro” contro l'ultimo dei quattro maestri, una sorta di sciamano/asceta che vive nella più completa indigenza. Se in precedenza il protagonista aveva dovuto barare per vincere i duelli, accecato dal desiderio di possedere la sua donna, di godere della fama, della ricchezza e del prestigio, incurante di ciò che gli altri cercavano di comunicargli, dopo questo evento avverrà la maturazione.

«Ho barattato la mia pistola con una rete per cacciare farfalle.
Vedi, la mia rete ha più potere delle tue pallottole.
Come puoi vincere, se io non mi batto?
Se non ho niente?
Anche con una trappola non avresti potuto togliermi niente.»
«Sì invece. Avrei potuto toglierti la vita.»
«Non mi importa niente della vita. Ora te lo dimostrerò.»
[Si spara nel petto e prima di spirare dice a El Topo: «Hai visto? Hai perso]

El Topo ha infine perso, ha assistito alla morte dell'ego, l'ha compresa e ora è disperato in quanto tutto ciò che aveva fatto prima è stato inutile. Dopo un sanguinoso epilogo in cui entrerà in gioco una nuova, misteriosa strega, il protagonista si ritroverà a meditare in una grotta, con un fiore di loto in mano, come un novello Cristo/Buddha. Ad accudirlo nella sua totale immobilità c'è una nana deformata, la quale vive con altri sventurati all'interno delle viscere del sottosuolo, dalle quali, per degli esseri fisicamente menomati come l'infelice tribù che vi abita, è impossibile uscire. Ma El Topo, una volta risvegliato dalla meditazione, prende con sé la nana e decide di recarsi nel vicino villaggio, nel mondo esterno, al di là della prigionia dell'allegorica caverna – la quale rappresenta un archetipo dalle molteplici interpretazioni – e di scavare un tunnel in grado di liberare il popolo dei deformi dalla loro angosciosa prigionia. Ha così inizio il crudele viaggio dell'illuminato nel mondo materiale: per vivere e comprare la dinamite egli è costretto a fare il buffone per le strade, a lavare i cessi, ad avere rapporti sessuali in un tetro bordello con la sua nana, venendo nel frattempo schernito da tutti i presenti. La città che rappresenta “la luce” che rende cieca la talpa risalita in superficie è dominata da una classe borghese dai connotati mostruosi ed abnormi, che va in chiesa a pregare rimanendo assoggettata da ritualismi fini a sé stessi, che uccide e tortura chi ritiene inferiore, che si dà alla libidine, alla lussuria, al dileggio del prossimo e alla xenofobia. Simboli rappresentanti un triangolo con un occhio al suo interno – Dio – tappezzano le strade della cittadina, l'interno degli edifici, ogni cosa. La sintesi suprema del vero è l'animalità travestita da divinità, il culto delle apparenze e del possesso, la feroce cattiveria meccanica dell'uomo che si sopravvaluta e che gode di un eccessivo potere che non si merita affatto. 


Le vicende si concludono con una grottesca, allegorica carneficina e con un atto disperato del protagonista, che compie un gesto estremo carico di nichilismo e denuncia sociale – il fallimento ideologico scaturito dagli orrori della guerra del Vietnam si fa sentire -, che ripercorre l'atto del maestro che cacciava farfalle nel deserto, chiudendo il cerchio del rifiuto della volontà di vivere, dell'annullamento totale del sé. Ma la muerte es un nacimiento, pertanto l'ultima scena del film si ricollega alla prima: ci saranno altre talpe che scaveranno i loro cunicoli alla ricerca della verità, che tuttavia si rivelerà crudele ed annichilente. Perché «una luce non è per tutti la salvezza. Per una talpa può essere fatale.»

















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