martedì 28 luglio 2015

The Big O: Recensione

Titolo originale: The Big O
Regia: Kazuyoshi Katayama
Soggetto: Kazuyoshi Katayama, Keiichi Sato
Sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Character Design: Keiichi Sato
Mechanical Design: Keiichi Sato
Musiche: Toshihiko Sahashi
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anni di trasmissione: 1999 - 2003


Nella città di Paradigm City tutte le persone hanno perso la memoria, e non ricordano cosa accadde quarant'anni prima, quando ci fu un misterioso cataclisma dalle origini sconosciute. Al di fuori della città vi sono dei domini ignoti, mai esplorati dagli ordinari cittadini senza passato. Ma ad un certo punto, l'apparizione di dei robot giganti turba la quiete della città dell'amnesia: e se tali macchine realizzate con una tecnologia sconosciuta risalissero all'epoca precedente alla catastrofe? E se esse fossero la chiave per risolvere il mistero della perdita collettiva della memoria? La ricerca della verità sul mistero di Paradigm City è nelle mani del negoziatore Roger Smith e del suo mecha, il potentissimo Big O. Big O, showtime!


Ad un primo sguardo, "The Big O" stilisticamente ricorda il seminale "Giant Robo" di Imagawa; questa somiglianza è tuttavia soltanto superficiale, in quanto "The Big O" possiede uno stile registico molto sobrio, lento e riflessivo, completamente agli antipodi rispetto a quello dell'OAV sopracitato. Inoltre, l'opera non rinuncia ai vari cliché tipici del tokusatsu settantino, caratteristica comune a moltissimi robotici del dopo-Eva. Insomma, in questo caso il mostro della settimana è obbligatorio, e convive pienamente con gli elementi più moderni ed innovativi del plot.


Personalmente ho molto gradito la scelta dello stile grafico, a metà strada tra quello tipico dell'animazione giapponese e quello occidentale - inutile far notare quanto lo stile di "The Big O" ricalchi palesemente quello della serie televisiva animata di "Batman", tuttavia aggiornandolo con una maggiore armonia ed espressività dei disegni. Detto ciò, una nota di merito va ai combattimenti, che presentano coreografie perfette e animazioni fluide; inoltre, la magistrale colonna sonora contribuisce a far cadere la mascella per terra allo spettatore molte volte durante la visione: in essa gli omaggi a brani che hanno fatto la storia della musica sono innumerevoli - come non citare un brano che fa l'occhiolino a "Blue in Green" di Miles Davis - utilizzato nelle scene più riflessive dell'anime - e un rimando a "Flash" dei Queen, adibito a sigla di apertura.


Molto pregevole è l'intento dell'opera di voler riproporre in modo originale i vari archetipi del cinema noir e hard-boiled degli anni cinquanta e sessanta; sotto questo aspetto, "The Big O" è molto vicino al citazionistico "Cowboy Bebop", con il quale condivide l'atmosfera retrò e allo stesso tempo tecnologica, che si unisce ad una trama complessa, in cui non mancano all'appello i classici rimandi cyberpunk tipici dell'epoca, coronati da riflessioni sulla natura dell'anima, sul suo rapporto con la memoria - la città dell'Amnesia, la catastrofe -, con tanto di finale allegorico conforme alla tradizione novantina del reset the world.


Il protagonista dell'anime, Roger Smith, è un uomo dalle risorse illimitate e dalle molteplici sfaccettature, che inizialmente risolve casi riguardanti le memorie del passato, ovviamente gli oggetti più preziosi nella città dell'amnesia. Nel suo primo caso egli conoscerà Dorothy, una sarcastica ragazza-robot la quale diventerà la sua assistente; il rapporto creatosi tra Dorothy e Roger nel corso della serie diventerà sempre più intimo, coinvolgente e sofisticato, grazie al grande di lavoro di caratterizzazione con il quale sono stati delineati i due personaggi. Andando avanti con le puntate, il tutto si farà sempre più cupo e psicologico, in pieno stile Chiaki J. Konaka; non per nulla, nell'ultimo frangente della serie sono presenti alcuni topoi mutuati da "serial experiments lain" e "Megazone 23", sempre in un contesto noir-robotico coadiuvato dalla romantica e soffice storia d'amore tra i due cinici protagonisti, nonché da alcuni simbolismi esoterici tipici degli anime dell'epoca.


Resta sempre il rammarico dovuto all'interruzione del finanzianamento della seconda stagione da parte dei produttori, imputabile alle basse vendite dei DVD; questo fatto è ben manifesto nelle ultime puntate della serie, in cui Nonaka è stato costretto a condensare le sue numerose idee in poco spazio. A parer mio il tutto resta comunque comprensibile, ma a prezzo di una grande attenzione ai particolari e di una spiccata capacità dello spettatore nel cogliere le allegorie insite in un soggetto abbastanza complesso - e compresso.


In conclusione, vale la pena ricordare il più grande pregio di "The Big O", ossia  il senso di nostalgia e perdita che lo avvolge: il cielo grigio, il triste sassofono, le clessidre, il vestito nero di Dorothy, le parole non dette...










2 commenti:

  1. Ciao. Grazie per aver ricordato una bellissima serie, purtroppo, poco conosciuta.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Conobbi prima il manga, preso casualmente nel cestone di un centro giochi di Torino quando avevo 14 anni. Poi, per il resto, questa serie in giovinezza mi aveva molto appassionato.

      Elimina