sabato 20 giugno 2015

Colorful: Recensione

 Titolo originale: Colorful
Regia: Keiichi Hara
Soggetto: basato sull'omonimo romanzo di Eto Mori
Sceneggiatura: Miho Maruo
Character Design: Atsushi Yamagata
Musiche: Kô Ôtani
Studio: Ascension
Formato: film cinematografico 
Durata: 126'
Anno di uscita: 2010


Un'anima vagante per gli ampi spazi di una sorta di purgatorio, viene informata da Purapura, un bizzarro spiritello dell'altro mondo, che deve ritornare in vita sotto le spoglie di Makoto Kobayashi, un adolescente giapponese morto suicida. Lo spirito non sembra molto entusiasta di questo compito: preferirebbe sparire definitivamente, uscire dalla catena delle reincarnazioni per poter dire di no alla vita. Ma Purapura risponde agli ordini del divino, che non possono essere trasgrediti da nessuna anima ribelle; e pertanto, lo spirito senza nome sarà costretto a rivedere un'altra volta il mondo sensibile, con gli occhi di Makoto, dovendo adempiere al compito di scoprire i motivi celati dietro al suo gesto estremo. Ha così inizio la vita del nuovo Makoto Kobayashi, il quale, volta per volta, conoscendo le persone e le situazioni che avevano spinto il titolare del suo corpo al suicidio, proverà le sue stesse emozioni e sensazioni, arrivando a comprendere sé stesso e quelle cose che, nell'agrodolce ed ambiguo mondo che lo circonda, sono ancora meritevoli di essere vissute, nonostante l'acuta sofferenza che comporta il mero vivere.


Indubbiamente, la regia di  Keiichi Hara è in grado di raccontare un dramma alquanto impegnato in modo semplice, elegante, senza troppe sofisticazioni, barocchismi o ridondanze che vadano in qualche modo a falsificare la genuinità dell'opera. "Colorful" non è di certo un'eccezione, e si fa carico di molteplici riflessioni - in particolare sul valore della vita, sulla famiglia e sulla gioventù giapponese attuale -, squarciando con fare molto pacato il duro velo dell'ipocrisia, rappresentando le varie contraddizioni presenti all'interno di un mondo che punta tutto sulla facciata. E' facile per lo spettatore più sensibile comprendere, assieme al protagonista del film, i motivi che spinsero Makoto Kobayashi al suicidio: tra bullismo, compagne di classe vuote dentro che si prostituiscono per comprarsi l'ultimo cellulare alla moda, piccoli segreti di famiglia che fanno soffrire in silenzio, in modo lacerante, senza alcuna possibilità di sfogo... viene cosi' delineato un percorso in grado di segnare un adolescente nel profondo, sopratutto quando esso si rivela introverso ed atipico come Makoto. Con queste premesse, non rimane che chiudersi in sé stessi a riccio, rifiutando il contatto con gli altri, ferendo le persone per non essere feriti a propria volta.


Stilisticamente, il film ricorda in alcuni frangenti Isao Takahata, per quanto concerne l'autorealizzazione del protagonista e lo stile visivo e narrativo, che si rivela sobrio, limpido, tendente al realismo e alla ricerca del sense of wonder nel quotidiano; personalmente, non ho potuto non pensare - a livello di tematiche - al "Film Blu" di Kieslowski: il tema della perdita totale, il percorso di accettazione della vita nonostante tutto, la libertà intesa come "sentirsi vivi". Questo tipo di paragoni con film diretti da grandi registi cinematografici sono del tutto opportuni, giacché - anche da punto di vista tecnico - questo "Colorful" è in grado di reggere il confronto con i migliori film d'animazione sulla piazza, rivelandosi curatissimo nei dettagli, negli sfondi, nelle movenze dei personaggi, i quali paiono "vivi" ed espressivi. Con questo grande traguardo artistico, Hara ha avuto modo di perfezionare ulteriormente la sua poetica ed il suo stile registico, riprendendo alcuni spunti di riflessione già presenti nel commovente - e ben più mainstream - "Kappa no Coo", sviluppandoli a dovere, questa volta senza curarsi troppo del target di riferimento dell'opera.


"Colorful" è altresì una storia di comunicazione in una società in cui le "molteplici sfumature" delle persone non riescono a combaciare tra loro, generando fraintendimenti e conseguenti silenziose sofferenze reciproche. L'allegoria centrale sulla quale si basa l'opera è suggerita dallo stesso titolo: il colore più complesso da visualizzare è proprio quello dell'animo umano, che è così variegato da essere allo stesso tempo fragile, mutevole, influenzato dalle contingenze esterne e allo stesso tempo bisognoso di autoaffermazione.


Particolarmente illuminante è il ritratto dell'amicizia che viene dipinto con grande classe da Hara: il rapporto tra il protagonista e l'impacciato Saotome assume connotati quasi simbolici - la passione per i treni d'epoca di quest'ultimo, e la sua ricerca delle stazioni ferroviarie/metropolitane andate perdute con la modernizzazione di Tokyo, è un chiaro messaggio di "unione", di "comunicazione", di ricerca dei valori perduti con l'avvento della postmodernità. Sarà questa amicizia semplice, pura, senza malizia o interessi personali la cosa in grado di spingere un'anima infelice alla comprensione dell'importanza dei legami con le altre persone; rapporti i quali, allo stesso modo dei vari domini interiori di ognuno di noi, non hanno una tinta unica, ma moltissime sfumature, alcune cupe, scure, stranianti; ma altre accese, talvolta candide e delicate, paragonabili ai soffici colori dell'arcobaleno.









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