lunedì 19 aprile 2021

Boogiepop Phantom: Recensione 2.0

Titolo originale: Boogiepop wa Warawanai
Regia: Watanabe Takashi
Soggetto: basato sui romanzi di Kadono Kouhei
Sceneggiatura:  Murai Sadayuki,  Minakami Seishi,  Nojiri Yasuyuki
Character Design:  Suga Shigeyuki
Musiche:  Tsuruoka Yota
Studio: Mad House
Formato: serie televisiva di 12 episodi
Anno di trasmissione: 2000


Ogni opera è figlia del suo tempo e pertanto, oggi come oggi, preferisco recensire il primo anime ispirato ai romanzi di Kouhei Kadono, Boogiepop Phantom, dacché a parer mio è quello più significativo (anche se il recente adattamento Boogiepop wa Warawanai della Madhouse è più fedele alla trama originale, l'ho trovato un po' fuori sincrono, anche a livello di design). Personalmente parlando, devo dire che Boogiepop Phantom è molto affine allo spirito del (mio) tempo, o quantomeno della mia generazione: era uno dei miei anime preferiti e ho sempre pensato che fosse l'unico che in qualche modo si avvicinasse a serial experiments lain, che sostanzialmente era un non-anime, una non-narrazione di un'epoca cupa e alienante, opera dissonante e scricchiolante in tutto e per tutto, con tutti i suoi simbolismi e le sue iniezioni di realtà distillata. Da un lato avevo grandi narrazioni come Xenogears, che mi fornivano illusioni di grandi amori eterni che avrebbero attraversato le epoche tramite metempsicosi, dall'altro avevo cose puramente "reali" come Boogiepop Phantom e lain, che mi riportavano un po' con i piedi per terra. Dal "pieno" al "vuoto" e viceversa in pratica, un veloce altalenare molto comune nel nostro tempo. Ciò detto, sebbene Boogiepop Phantom sia un'opera a sé nei fatti, lo spirito della novel, scritta da un ex hikikomori degli anni novanta, è del tutto preservato. Essendo Kadono un escluso dalla società giapponese, poteva parlarne senza timore, tirando dentro anche temi più universali - ai quali alla fin fine ogni cosa si riconduce. L'anime diretto da Watanabe Takashi, con le sue atmosfere cupe, distorte, la perenne foschia che avvolge le ambientazioni prive di luce è infatti l'analisi di un Giappone disilluso, in piena crisi sia economica che sociale/esistenziale. Perché in fondo i romanzi di Kadono non erano altro che una riproposizione di quelli di Murakami Ryu ma con un fondotinta horror, e una cupa ragazza con personalità multiple a fare da giudice/grillo parlante della situazione. Sì, proprio lei: la Boogiepop che dà il nome al tutto. 
 

Ormai le opere che parlano della realtà del nostro tempo sono per forza di cose non-narrazioni, perché molto banalmente non c'è nulla da raccontare a parte un forte vuoto sociologico ed ideologico che tutto pervade. Pansando a ciò posso dire che tutto sommato Boogiepop Phantom sia ancora attuale, anche se oggi manca la "coscienza della fine" che c'era all'epoca (il Sekai-kei per i giapponesi), forse perché l'imminente cambio di millennio rendeva il tutto più suggestivo e apocalittico, così come la nascente omni-informatizzazione del mondo (che oggi è data per scontata). Apocalissi interiori o esteriori a parte (Boogiepop Phantom è chiaramente figlio di Evangelion, e i suoi livelli di spleen sono paragonabili a quelli dell'End of Eva ), l'opera è una sorta di descrizione della "fase orale della società" postmoderna (con ciò Freud intendeva che il bambino pensa che tutto il mondo appartenga a lui o alla sua bocca, e l'estensione di tale concetto alla società stessa lo diede Erich Fromm). La fase egocentrica, narcisistica, che rifugge il dolore e la crescita. «Non voglio diventare adulto/a» è infatti uno statement ricorrente nell'opera. Il trauma principe dei personaggi non è tanto Manticore, l'essere sintetico creato dalla Towa Corporation (indizi molto importanti sulla trama vengono forniti da un dialogo nel quinto episodio, dato che gli eventi vengono sceneggiati in modo volutamente caotico e dispersivo), ma il dover crescere, il dover perdere qualcosa
 
 
«Avere nostalgia di qualcosa che appartiene al passato ed essere prigionieri del proprio passato sono due cose molto differenti. Come muta il paesaggio della città, allo stesso modo anche le persone devono cambiare, continuando a muoversi. Tu dovresti capire cosa intendo.» [Boogiepop]

 
Il disagio della gioventù di Boogiepop Phantom si concretizza prevalentemente mediante il disturbo ossessivo-compulsivo (OCD), che è una patologia molto comune del nostro tempo. La ragazza al centro del primo episodio si lava compulsivamente le mani e non è in grado di dichiararsi al ragazzo che le piace (e invidia la sua amica che è più disinibita). Il ragazzo protagonista del secondo episodio è letteralmente un divoratore dei rimpianti altrui, che si materializzano sotto forma di ragni. Si scoprirà poi che il suo OCD è legato alla perdita della madre, e al non aver compreso la sofferenza del padre, divenuto un uomo debole e disilluso in seguito al trauma. Di certo, i rimpianti sono inevitabili, e sopprimerli senza averli metabolizzati è escapismo (una volta divorati i rimpianti, le persone rimangono senza memoria: cancellare il passato sicché genera dolore significa cancellare la propria identità). La fatidica "fase orale" acquisisce poi un certo peso nel terzo episodio, in cui abbiamo una ragazza che vuole ossessivamente darsi al mondo, anche s'esso la fa soffrire e ha le sue brutture (che andrebbero evitate). Il suo "disturbo borderline" le fa completamente travisare l'insegnamento della sua amica defunta Panulù, che le parlava di accettazione consapevole e non compulsiva (la prima è distacco mistico, la seconda è un impulso autodistruttivo dovuto all'eccessivo attaccamento alle cose del mondo). 


L'apice dell'ossessione-compulsione (la stessa regia rende un senso di claustrofobia, confusione e malattia mentale) arriva con il quarto episodio, che è una bordata nei confronti del fenomeno otaku di quegli anni. Il protagonista della vicenda viene pressato dal padre, che lo vorrebbe in grado di passare l'esame per l'università, e nel frattempo si consola mediante degli eroge (i simulatori di appuntamenti che andavano di moda all'epoca, tipo AIR o Kanon ). L'attrazione compulsiva e masturbatoria per la sua ragazzina moe ideale lo estrania completamente dalla realtà, e quando a lavoro gli passa per le mani una ragazza in carne ed ossa giovane e carina, lui si comporta da maniaco sessuale e la fa scappare. Nel frattempo l'otaku trova rifugio nella droga, che gli viene fornita da nientepopodimenoche Manticore. La puntata terminerà in modo Tominiano, con l'otaku che si sarà definitivamente bruciato il cervello à la Kamille Bidan. Da notare il titolo dell'episodio, "amare una ragazza pura", che rimanda al solito congelamento infantile da cui il lolicon.


L'anime ritorna poi sul tema dell'abulia femminile con il sesto episodio, in cui la protagonista Shizue ammette di non voler diventare una donna forte, si crogiola nella sua misofobia, nel cattivo rapporto con la madre e si fa torcere dalla pressione sociale in una spirale claustrofobica. Paradossalmente la serie si risolve proprio tra le braccia di una madre (la vicenda di Kisaragi Manaka), cosa che in fondo è un simbolismo universale - la donna, che dà la vita, è realmente validata dalla madre e alla madre ritorna per principio di individuazione. Non per nulla la divinità originaria era la Madre Terra, e in Boogiepop Phantom la salvezza arriva dalle femmine (Kirima Nagi, la donna/guerriero salvifica, è molto vicina all'archetipo della Kannon).

 

La sigla di apertura, così funk e pregna di mood, si apre immediatamente con l'immagine di una farfalla macaone, che per i giapponesi è simbolo di morte/cambiamento (l'impermanenza delle cose). Allo stesso modo del mito dell'Urashima Tarou, il sogno di Chuang Tzu - I dreamt that I was butterfly - è profondamente impresso nel subconscio giapponese. Manaka, ragazza nonmorta congelata in una sorta di palazzo del dio drago, è la chiave di tutta la (non)storia, e la farfalla è il suo simbolo. In un certo senso lei sarebbe un'antagonista, colei che crea Poom Poom, una sorta di pifferaio di Hamelin/Peter Pan che vuole uccidere la parte adulta delle persone e preservare quella infantile. Ma d'altro canto Boogiepop, che rompe l'illusione agendo un po' come se fosse la Natura stessa che impone le sue leggi all'uomo (il medaglione YinYang e il cosmo nel mantello sono simboli totalizzanti), non è meno inquietante degli spettri di quel paradiso perduto poi col passaggio all'età adulta (che in Giappone, nella maggiorparte dei casi, equivale ad annullare la propria identità). Il seguente dialogo è significativo:
 
«Non posseggo ciò che voi chiamate cose preziose, perché la mia è una reazione meccanica.» [Manaka cade e invecchia istantaneamente]
[...]
«Perché non la smetti di fingerti puro e accetti l'unica verità: vorresti farmi credere di essere il passato che qualcuno ha gettato via... ma in realtà sai benissimo che non è così. E non sei nemmeno un ricettacolo di sogni abbandonati. Tu sei solo la personificazione del dolore della perdita. Tu sei quel qualcosa che fa credere che ciò che è stato perduto fosse tutto. E che ordina di allungare la mano per riprendere ciò che non si potrà più avere indietro. Questo è ciò che sei davvero. Tu non sei altro che un illusione, un inganno.»
[...]
«Ma ciò che differenzia veramente un bambino da un adulto, non è proprio il rimpianto per le cose perdute? Tu sei più adulto di qualunque adulto. Fingendoti bambino hai ingannato i tuoi amici, e hai oltraggiato le cose preziose che rappresentano.» [Boogiepop a Poom Poom]
 
 

Boogiepop esiste in virtù di una reazione meccanica, e quindi è messaggera dell'ordine naturale delle cose, dato che l'esistente si riconduce a meccanicismi. Il meccanicismo più sconcertante della Natura è proprio l'irreversibilità delle trasformazioni: una volta compiuti dei passi in avanti, è impossibile tornare indietro, anche se la società dei consumi di massa (quella giapponese è l'avant garde di quella occidentale), che punta alla soppressione della sofferenza, crea forti latenze nello sviluppo degli individui (ragazze abuliche, otaku, OCD, suicidi anomici, conflitti latenti nella definizione del proprio essere). Nell'episodio sette, come se quasi si parlasse di uno dei serial killer teenager americani che in quegli anni ammazzavano a colpi di pistola i compagni di classe, abbiamo un pazzo che vuole uccidere tutti gli elementi inutili della società. Poco importa poi che una volta raggiunta un minimo di consapevolezza, il ragazzo si renda conto che invero lui era l'elemento debole da sopprimere, o quantomeno debole era la percezione che lui aveva di sé stesso. Perché Boogiepop Phantom parla anche di inetti che proiettano le proprie latenze sugli altri (di nuovo, la "fase orale" della società).

Ritornando a Kirima Nagi, lei e il suo (scomparso?) sempai Kuroda Shinpei sono gli unici studenti in grado di indagare ed ostacolare l'organizzazione Towa. Rispetto alle altre protagoniste femminili (esclusa Boogiepop, che è una doppia personalità della solare Miyashita Touka), lei è una sorta di super-essere consapevole di come realmente vadano le cose nel suo microuniverso (non per nulla Poom Poom la schiferà immediatamente dandole dell'adulta e mandandole contro i suoi inquetanti "compagni di giochi"). Kirima è un po' come gli americani in Blu quasi Infinitamente Trasparente di Murakami Ryu: mentre i giapponesi in crisi d'identità si danno all'escapismo e alla sedazione, vi sono degli individui ai quali si sentono inferiori, e che non sono in grado di comprendere veramente. Kirima è qualcosa di simile. Questo distacco con gli altri personaggi la rende una persona estremamente sola, colpevole soltanto di essere forte in un mondo di deboli. E' la ricorrenza del superuomo nelle narrazioni postmoderne, che come ad esempio in Blade Runner, è destinato a verità, solitudine e incomprensione: «In un mondo fantasma come puoi affermare di non essere tu stesso un fantasma?»

Il senso generale di dispersione indotto dalle atmosfere dell'opera quasi anticipa la vaporwave che infesta Youtube nell'oggidì: qualcuno ebbe a dire che la vaporwave è la musica della nostalgia del futuro, cosa senz'altro in sincrono con un anime che parla di congelamento individuale e incapacità di crescere. Ciò detto, Boogiepop Phantom esplora gli spazi reconditi della memoria, infettata dalla malattia esistenziale da cui il simbolico campo elettromagnetico in cui sguazzano i demoni Manticore e compagnia. Il vuoto vero, quello del nonsenso, lo si percepisce nella vicenda di Manaka, che è tanto drammatica quanto macabra. Con la sua risoluzione si avrà finalmente, nell'ultimo episodio, la luce: nuove possibilità di esistenza date dall'effettivo passaggio all'età adulta tramite l'accettazione della perdita, e/o di alcuni compromessi essenziali con sé stessi e con il reale, dacché nell'esistente non è tutto bianco o tutto nero, ma esistono soltanto vie di mezzo, sfumature che colorano un nulla ontologico che purtroppo è privo di senso. Perché «diventiamo adulte nel momento in cui abbandoniamo le cose preziose che abbiamo avuto. E' così che funziona la vita. In seguito stabiliremo un compromesso con la realtà e ci convinceremo di avere quello che meritiamo. La nostra vita alla fin fine non è altro che questo: una perdita, e l'illusione di non averla subita.»

2 commenti:

  1. Quindi ancora la tesi dell'angelo crudele, o la versione di Shizuku di "Country Road". Gli anni sono quelli (1995>...)In ogni caso un post meraviglioso e meravigliosamente scritto su un anime che non ho mai visto anche se mi era così vicino, come lain. Dovrò rileggerlo un paio di volte.

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    1. Grazie. Altra opera che gli si avvicina è il manga di Homunculus. In questo caso l'autore non è un ex hikikomori ma uno che ha vissuto da clochard in Giappone. Per dire, in un capitolo di Homunculus c'è una enjo kousai che si dissove come la sabbia. In un'altro uno yakuza che in realtà ha l'essenza di un bambino. E poi il solito discorso sulle reazioni meccaniche, che mi fa sempre pensare a Gurdjieff, che molto probabilmente questi autori avranno letto.

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