venerdì 13 febbraio 2015

Key the Metal Idol: Recensione

 Titolo originale: Key the Metal Idol
Regia: Hiroaki Sato, Takashi Watanabe
Soggetto: Hiroaki Sato
Sceneggiatura: Hiroaki Sato
Character Design: Kunihiko Tanaka
Mechanical Design: Takashi Watabe
Musiche: Tamiya Terashima
Studio: Studio Pierrot
Formato: serie OVA di 15 episodi
Anni di uscita: 1994 - 1997


Assieme al "Giant Robo" di Imagawa, "Key the Metal Idol" è l'OAV più significativo della prima parte degli anni novanta, quella antecedente allo storico ed epocale "Evangelion". Significativo in quanto in esso sono già contenute alcune delle innovazioni tipiche della seconda metà degli anni novanta e dei primi anni del duemila, il cosiddetto "dopo Eva" (il quale, a mio avviso, è il periodo più fecondo della storia dell'animazione, assieme all'anime boom di fine anni settanta e inizio anni ottanta). "Key the Metal Idol" è quindi un OAV che mescola assieme le varie tendenze dei suoi anni plasmandole un anno prima di "Evangelion", dando origine a uno pseudo cyberpunk più cupo e violento del solito, nonché dotato di un inquietante substrato mistico intimamente connesso con la tecnologia e il folklore (ma comunque risibile rispetto a quello ben più sofisticato presente nelle opere di Oshii, ABe e Nakamura). Nella sostanza, l'opera è più vicina a Imagawa che a Hideaki Anno: la trama di "Key the Metal Idol" è infatti molto complessa, e in ogni episodio vengono proposti una certa quantità di enigmi e di misteri apparentemente sconnessi i quali, al momento delle rivelazioni finali - in questo caso si parla di due episodi conclusivi di due ore circa, pieni zeppi di spiegoni e tecnobubbole - s'incastreranno tra loro formando un mosaico senza alcuna falla. 


L'idea alla base del lavoro di Hiroaki Sato è la trasposizione in chiave cyberpunk del racconto di "Pinocchio"; la protagonista Tokiko Mima è infatti una sorta di robot senza emozioni, creato da un "Mastro Geppetto" la cui identità è avvolta nel mistero; quest'ultimo, prima di morire, le ha lasciato un messaggio in cui la mette a conoscenza del fatto che la condizione necessaria ad acquisire un corpo di carne e sangue è quella di riuscire a far provare delle emozioni a trentamila persone: ovviamente il metodo più veloce per raggiungere tale obbiettivo sarà quello di diventare una idol di successo in grado di far breccia nel cuore del pubblico con il canto. La commistione tra cyberpunk e mondo dello spettacolo è abbastanza insolita e, sotto alcuni aspetti, "Key the Metal Idol" si dimostra a tutti gli effetti l'antesignano di "serial experiments lain", del quale anticipa le atmosfere cupe e opprimenti, il ritmo narrativo lento e poco digeribile, la protagonista al limite dell'autismo dotata di un misterioso potere di natura mistica, divina e tecnologica; inoltre, il rapporto tra Tokiko e la complessata Sakura è molto simile a quello tra Lain e Arisu, ovvero un'amicizia molto forte, viscerale, a tratti morbosa. In particolare, allo stesso modo del suo ben più celebre "figlio", l'opera cerca di sondare il concetto di identità personale in rapporto alla crescita del settore delle comunicazioni avvenuto nella sua epoca, ma lo fa rozzamente, senza riuscire a lanciare un messaggio esistenzialista degno di nota. Detto ciò, bisogna comunque sottolineare che "serial experiments lain" è una non-narrazione, mentre invece "Key the Metal Idol" è un'opera dalla trama lineare (benché apparentemente frammentaria) priva di molteplici livelli di lettura. Dovrà arrivare "Evangelion" per far sì che l'animazione giapponese venga in parte indirizzata verso le grandi non-narrazioni. 


Pur essendo un OAV per otaku di seconda generazione, "Key the Metal Idol", molto coraggiosamente, si addentra in un embrionale sperimentalismo che verrà successivamente sviluppato in molti altri anime successivi; non a caso la regia è nelle mani di Takashi Watanabe, lo stesso regista del lynchiano, opprimente, angoscioso e intenso "Boogiepop Phantom". Molto probabilmente il mondo delle idol - con tanto di produttore otaku ossessionato morbosamente dalla taciturna e remissiva protagonista - è stato inserito al fine di far presa sul target tipico degli OAV del "pre-Eva"; lo stesso finale della serie - a mio avviso eccessivamente prolisso e posticcio - è abbastanza accomodante nei confronti degli otaku e delle loro amate idol virtuali.


A livello tecnico l'opera rientra negli standard della sua epoca; a una regia molto curata si aggiungono delle animazioni talvolta sottotono, nonché una gradevole colonna sonora (splendide le sigle di apertura e di chiusura). Non tutti gli episodi della serie sono in egual misura brillanti, e in alcuni di essi sono presenti inutili prolissità e leggeri difetti che rendono la visione poco appagante; tuttavia, a mio avviso, il grande pregio dell'opera sono le sue ataviche e tenebrose atmosfere, le quali rimandano a quelle agrodolci e incerte sensazioni che si provavano di fronte ai complessi e fascinosi anime degli anni novanta. 












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