sabato 29 novembre 2014

Princess Sarah (Lovely Sara): Recensione

  Titolo originale: Shoukoujo Sara
Regia: Fumio Kurokawa
Soggetto: Hidemi Kamata, Ryûzô Nakanishi, Keiko Mukuroji, basato sul romanzo "La Piccola Principessa" di Frances Hodgson Burnett
Sceneggiatura: Ryuuzou Nakanishi
Character Design: Shunji Saida
Musiche: Yasuo Higuchi
Studio: Nippon Animation
Formato: serie televisiva di 46 episodi
Anno di trasmissione: 1985


Le vicende di "Princess Sarah" avvengono nella tetra Londra vittoriana. Sarah Crewe è la figlia di una ricca famiglia Inglese residente in India, e da poco si è trasferita in Inghilterra, presso il rinomato collegio femminile di Miss Minchin. All'intelligente Sarah, orfana di madre, rimane sono più il padre, il quale, una volta portata la figlia al collegio, è costretto a tornare in India per lavoro. In seguito ad una disgrazia, avrà inizio la triste e drammatica avventura di Sarah, la quale diventerà poverissima; una vera e propria schiava, maltrattata e derisa dai suoi ipocriti, invidiosi e spietati aguzzini: Miss Minchin, Miss Lavinia e i loro rispettivi lacché. Le crudeltà che dovrà subire la piccola la porteranno addirittura ad un passo dalla morte...


"Princess Sarah" è l'adattamento animato operato dalla Nippon Animation del romanzo "La Piccola Principessa" di Frances Hodgson Burnett. Si tratta di un meisaku molto incisivo ed angoscioso, nel quale le disgrazie e la cattiveria umana raggiungono livelli decisamente più elevati rispetto agli standard delle altre opere dello stesso genere. Se queste ultime erano leggermente mitigate ed addolcite, nonostante l'asprezza e la drammaticità delle vicende trattate, "Princess Sarah" non conosce freni inibitori: è uno degli anime più crudeli che abbia mai visto; ma non crudele nel senso estetico e tragico del termine; crudele giacché quello che l'opera ci propone è realmente esistito: il tutto è realisticamente plausibile nelle modalità con le quali viene rappresentato. Nell'Inghilterra vittoriana la schiavitù e lo sfruttamento minorile erano all'ordine del giorno, così come la distinzione abissale tra ricchi e poveri (purtroppo in molti paesi del mondo queste cose esistono ancora); ed ecco che nell'anime, così come nel romanzo, emerge una forte denuncia del lavoro minorile, nonché una feroce critica all'ipocrisia, congiunta alla palese condanna dell'infelice equazione "essere uguale avere". Infatti, basta poco a far cambiare l'atteggiamento della spietata Miss Minchin nei confronti di Sarah: il sopraggiungere della povertà e dell'indigenza; il fatto che quest'ultima diventi, da potenziale "principessa dei diamanti", un indifeso essere caduto in disgrazia in un mondo di predatori e prede. 

 
La piccola Sarah, nonostante la sua caratterizzazione cliché di bambina-archetipo incondizionatamente buona e gentile con tutti - anche con i suoi carnefici - è soltanto una bambina; è l'innocenza fatta a persona; e c'è qualcosa di estremamente adulto in quello sguardo così nobile e profondo. Contrariamente alla suddetta, gli altri personaggi sono invece sin troppo umani (questo è uno dei rari casi in cui durante la visione mi sembrava di aver di fronte persone vere, e non personaggi fittizi). In primis Lavinia, una bambina in grado di compiere cattiverie talmente pesanti - e allo stesso tempo sottili - da mettere a disagio lo spettatore più sensibile: ella è un personaggio chiave, in grado di motivare il suo odio viscerale verso Sarah con una lucida consapevolezza che la macchia di un estremo e genuino cinismo; cinismo abbastanza inquietante, poiché viene esternato da quella che dovrebbe essere una pura e semplice bambina. Lavinia sa di essere ciò che ha, e sa anche che nel suo mondo contano soltanto le apparenze. Lavinia sa che bisogna primeggiare in tutto, altrimenti si viene considerati dei "signor Nessuno". Lavinia sa che Sarah non è una persona debole come lei, giacché ella sopporta tutte le sue umiliazioni senza mai provare emozioni negative, senza mai ribellarsi, senza mai scegliere di percorrere le facili vie del rancore e della vendetta. Il seguente dialogo a mio avviso è uno dei momenti più significativi dell'opera:

«Ascolta Lavinia, è da tanto tempo che voglio chiedertelo: perché sei così cattiva con Sarah? Che cosa ti ha fatto? Perché la odi così?»
«Davvero ti interessa tanto sapere perché odio Sarah?»  
«Sì, Lavinia.»
«Ti sbagli: adesso non la odio affatto.»
«Eh?» 
«A dire il vero, la prima volta che mi è comparsa davanti l'ho odiata immensamente. Vedi, io sono sincera e lo ammetto. E l'ho odiata innanzitutto perché era più ricca di me, perché parlava francese meglio di me, e anche perché era decisamente più bella di me. Ma adesso le cose sono nettamente cambiate. Sarah è diventata terribilmente povera, e non ha più nulla. Quanto al francese, che cosa se ne può fare una semplice sguattera? Inoltre i suoi bei vestiti si sono trasformati in miserabili stracci, e non può essere bella così.»
«Ma allora, perché, Lavinia?»
«Se vuoi proprio saperlo, Margherita, perché nonostante quello che ha passato e che passa ogni giorno è serena, e io al suo posto sarei disperata, capisci? E' ancora lei la più forte, ancora lei!» (e se ne va via, rabbiosa).


Ma non è solo Lavinia che viene scrutata nella sua inflessibile coerenza. Anche Miss Minchin, uno degli esseri più ipocriti, odiosi, crudeli, ottusi e spietati dell'animazione giapponese verrà messa a nudo. Ella è reduce da un passato fatto di povertà e di stenti, ed è arrivata a dirigere un collegio d'elité solamente mediante i propri sforzi. Ora le sofferenze passate hanno ucciso la sua consapevolezza, la sua coscienza, la sua umanità - si pensi al dialogo tra Sarah e Amelia, la sottomissiva ed impacciata sorella della carnefice -. In un certo senso, Miss Minchin si rivelerà essere anch'essa una delle "vittime" di un determinato modo di pensare e, sopratutto, di discriminare le persone. La suddetta a mio avviso non ha la raccapricciante e disumana consapevolezza di Lavinia. E' una macchina che agisce applicando con celerità le universali leggi del profitto, dell'ipocrisia e dell'indifferenza. Una carnefice che a sua volta è stata una vittima.
E poi ci sono loro, quelle persone che ti amano per ciò che sei, indipendentemente dalla tua classe sociale e da tutte le altre etichette che tutt'oggi regolano un mondo palesemente fondato sull'apparenza. C'è la tenera sguattera maltrattata da tutti, Becky, sempre pronta a difendere Sarah e a piangere per lei, pur sapendo di andare incontro a disumane punizioni; c'è Peter, vero e proprio ragazzo di città abituato sin da piccolo a destreggiarsi nei quartieri più malfamati di Londra; c'è Lottie, una bambina piccolissima che considera Sarah come una madre; c'è la timida, impacciata e senza talento Ermengarde, la quale tuttavia riuscirà a salvare la vita della sua cara amica caduta in disgrazia, dimostrando una grande umanità. Questi personaggi sono resi benissimo, e allo stesso modo degli antagonisti, anch'essi paiono "vivi"; sono persone che sicuramente ognuno di noi ha incontrato nella sua vita, allo stesso modo di quegli aguzzini più o meno spietati che sfruttano, ingannano, invidiano, scambiano l'apparenza per la sostanza, rovinano la gente onesta.
Ci si affeziona ai personaggi di "Princess Sarah", e a visione conclusa si prova un forte senso di vuoto.


La sceneggiatura è molto impressiva, siccome alterna momenti che paiono soffici e pacati con delle impreviste scariche di violenza - sia fisica che psicologica - cariche di drammaticità. Le vicende iniziali dell'anime, ad esempio, sono abbastanza anonime e scontate, e non fanno affatto intuire il calvario che avrà luogo dopo l'undicesima puntata. Molte volte nel corso della serie i momenti carichi di speranza verranno improvvisamente soffocati nel pianto e nella disperazione.
La regia è di gran classe, sempre pronta a catturare l'epressione dispiaciuta, la lacrima trattenuta, gli sguardi che valgono più di ogni parola. Una regia che, allo stesso modo della sceneggiatura, sfrutta l'apparente calma per rendere ancora più tormentosa la successiva tempesta. Riguardo ai disegni e alle animazioni, l'opera è indietro di dieci anni: i fondali sono scarni, ma allo stesso tempo efficaci; il character design è anch'esso tipicamente anni settanta, e vanta di una grande espressività. Sono da notare alcuni riferimenti ad opere fiabesche come "La fiammiferaia" e "Cenerentola", che contribuiscono a fornire all'anime gradevoli risvolti atavaci ed archetipali.


Volendo ancora riflettere sull'essenza della dolce Sarah, ella indubbiamente è una principessa; lo è dentro, nel profondo, e preferisce subire tutte le angherie di cui è oggetto rimanendo sempre fedele al suo nobile, esagerato e talvolta caricaturale buonismo. Nel romanzo, ella la tentazione di ribellarsi ce l'aveva, ed ogni tanto rispondeva alle numerose provocazioni ed ingiustizie subite; tuttavia, gli autori dell'anime hanno preferito renderla più affine ad una remissiva bambina dai modi tipicamente giapponesi; una bambina indifesa e senza il potere necessario a ribellarsi, la quale è obbligata a rimanere nel collegio anche per motivi estremamente pratici (deve ricevere la lettera dalla polizia di Bombay per accertarsi dei fatti accaduti al padre). A mio avviso, oltre alle atmosfere plumbee e dense di un grigiore opprimente, è proprio il marcato contrasto tra l'innocenza di Sarah e la cattiveria dei suoi aguzzini che rende la visione oltremodo angosciosa. Detto ciò, con il suo illuminato gesto finale Sarah ha dimostratato di essere una vera principessa sino alla fine; e anche i suoi antagonisti sono rimasti fedeli a loro stessi sino alla fine: cambierà soltanto il loro atteggiamento, ma non avverrà alcuna redenzione.


In conclusione, questo è uno dei migliori meisaku che abbia mai visto, e concordo pienamente con l'ottima valutazione degli spettatori di TV Asahi, che lo piazzano tra i cento migliori anime di sempre. Certamente "Princess Sarah" è una di quelle serie molto coinvolgenti che sono in grado di far appassionare un'ampia fetta di pubblico: uomini, donne, bambini e anziani. E' difficile non rimanere col fiato sospeso mentre si seguono le tanto drammatiche quanto ordinarie vicende di Sarah e dei suoi cari amici.













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