lunedì 8 febbraio 2021

Fushigi no Umi no Nadia [ Il mistero della Pietra Azzurra ]: Recensione 2.1 (by AkiraSakura & Shito)

Titolo originale: Fushigi no Umi no Nadia
Regia: Anno Hideaki
Progetto: Miyazaki Hayao (non creditato), Kubota Hiroshi
Struttura della serie: Ookawa Hisao,
Sceneggiatura: Ookawa Hisao, Tanami Yasuo (come: Umino Kaoru)
Character Design: Sadamoto Yoshiyuki
Mechanical Design: Yamashita Ikuto, Anno Hideaki
Musiche: Sagisu Shirou
Realizzazione: GAiNAX, Group TAC
Animazione: Touhou, KORAD
Formato: serie televisiva di 39 episodi
Emittente: NHK
Anni di trasmissione: 1990~1991
 
 
«Nadia... donna ni atte mo, ikirou!» 
(«Nadia... per quel che dovesse accadere, vivi!»)
 
 
L'ennesima revisione di Nadia dei Mari delle Meraviglie, una serie animata che nel passato di chi scrive (e qui sono ben due teste e quattro mani!) ha in qualche modo lasciato un segno, o quantomeno contribuito a un arricchimento personale, non fa altro che reiterare un nostro atavico dubbio. Ossia: ma Evangelion era davvero necessario?
Molto probabilmente, considerando la sua universalità di anime sulla crescita/vita (così come volendo lo era Galaxy Express 999, altro totem dell'animazione giapponese seriale), Nadia potrebbe per paradosso dirsi l'opera più "matura" di Anno Hideaki. Matura proprio perché rivolta ad un pubblico infantile, senza tuttavia essere banale; per i bambini, infatti, è facile subirne il fascino senza coglierne appieno i vari significati. Da adulti, invece, a parte le sbavature dovute a una produzione fin troppo caotica (tratto tipico della GAiNAX, quand'era ancora la GAiNAX), l'opera si rivela come un intreccio brillante di filosofia, psicologia, relazioni umane. E tanta fascinazione fantascientifica. 
Il tutto è reso magistralmente, con intensità e realismo, nonché quel mood avventuroso da romanzo ottocentesco/epopea Miyazakiana: il progetto di base nasce infatti proprio da un'idea di Miyazaki, depositata alla NHK all'inizio degli anni '80, poi ripresa da Kuboka Hiroshi sempre per l'emittente nazionale e infine affidata alla GAiNAX e alla Group TAC per la realizzazione effettiva ormai alla soglia dei '90. La regia avrebbe dapprima essere affidata a Sadamoto Yoshiyuki, l'autore del character design vincitore del bando organizzato dalla NHK per assegnare la serie a uno studio d'animazione, ma per la sua autodichiarata sicurezza venne infine coinvolto in qualità di regista Anno Hideaki, che entrerà nel progetto quando erano state già approntate un paio di sceneggiature.
Il mare, il Nautilus, il capitano Nemo, la scienza, lo spazio, il Male (quello vero, identificabile, terribile, non quello ambiguo e capzioso delle opere dell'oggidì). Ma anche piccole donne che crescono e si risolvono, riflessioni sullo Spirito e sulla materia che non cadono banalmente nei soliti luoghi comuni dei giapponesi, ma trovano una loro armonica collocazione nell'essenza dei legami tra persone, che sono il vero motore della crescita e della vita in quanto esseri umani. Sotto questo aspetto, forse Nadia è un'opera ancora più umanistica di Evangelion

 
Indubbiamente, come opere di Anno, le succitate sono entrambe totalmente otaku, come anche Punta al Top! ancora prima. Tuttavia, se l'otaku è un bambinone davvero inguaribile, forse può dare il meglio di sé, e rendere persino utile la sua mania, parlando genuinamente ai bimbi veri. La catalogazione di informazioni e l'escapismo nella fantasia, tendenze che nell'otaku sono sclerotizzate e compulsive, per i bambini veri possono fornire spunti non necessariamente nefasti. Paradossalmente, Anno si sarebbe detto "insoddisfatto" di Nadia, perché non riusciva a soddisfare il suo "orgoglio" di otaku, e da questo sentimento di frustrazione autoreferenziale, dopo anni di depressione, venne proprio Evangelion, che infatti potrebbe dirsi un frutto marcio da principio, e poi marcito peggio, deve si finisce a rilevare il fallimento individuale e relazionale di una generazione disagiata e incapace di risolversi. Leggenda vuole che il regista Anno fosse davvero innamorato della celebre (e straordinaria) doppiatrice Hidaka Noriko, già interprete di Takaya Noriko (e Satsuki di Totoro, di cui Noriko ha in stanza il poster) e prima ancora del feticcio assoluto di una generazione otaku essa tutta: Minami di Touch. Si narra che ai tempi di Punta al Top! Anno si dichiarò, venne respinto, e allora chiese alla Hidaka di "stare a guardare" la sua (di Anno) opera successiva, dove il regista sarebbe stato davvero maturo. L'opera successiva in questione fu appunto Nadia, dove la Hidaka recitò magistralmente nel ruolo del protagonista maschile Jean. Noi in effetti crediamo che la serie si rivelò davvero quanto di più adulto Anno abbia mai realizzato, ma la Hidaka lo respinse comunque di nuovo. Ma siccome non siamo dei morbosi impiccioni, qui finisce la digressione sul dietro le quinte e si torna a parlare della storia e del suo valore, non della storia della storia.
 
 
La serie Fushigi no Umi no Nadia fu prodotta e realizzata per la NHK, emittente televisiva nazionale giapponese, totalmente istituzionale e tradizionale. Per la prima volta Anno Hideaki rivolgeva la sua opera non al suo microgruppo subculturale, gli otaku, ma al grande pubblico dei bambini di tutta la animazione. Era dunque inevitabile che l'ancora giovane regista, formatosi davvero nell'anime boom, tra Yamato e Gundam soprattutto, in un tale ruolo comunicativo non rivolgesse la sua mente in primis all'opera e all'idea di puericultura portata avanti da Yoshiyuki "Ammazzatutti" Tomino. All'inizio degli Anni Novanta, in Giappone, il punto di partenza di Anno Hideaki fu dunque quello creare un anime per bambini che riporti nel loro immaginario narrativo la tematica della morte, cosa che secondo lui stava svanendo dall'animazione giapponese dei tempi – siamo nel 1990.  Molto probabilmente la causa era altresì da ricercarsi in un'influenza dell'intrattenimento infantile di provenienza americana su quella propriamente nipponica, o forse era semplicemente l'incedere sempre più ritmato e inesorabile della postmodernità (esaltazione compulsiva del benessere/piacere, rimozione generale di dolore e morte). In ogni  caso, la narrativa animata per bambini di Tomino era stata da sempre basata sul precetto di Hannah Harendt, forse mutuato dalla tradizione germanista dei Grimm, di non mentire mai  ai bambini durante il processo educativo, neppure per mera omissione di verità o durezza, neppure a costo del trauma mentale o dell'incomprensione reale del fanciullo "sul momento". E così, nella sua prima serie animata per bambini, Anno non  risparmia alcuna scena di morte, anzi le mette in scena in modo quanto più realistico e soffocante, minimalista e mai grottesco, con tanto di rielaborazioni a seguire (si pensi agli episodi 15 e 16). In particolare, per quanto concerne Nadia e il suo finale soprattutto, Anno rimanda esplicitamente a Zambot 3 come serie tominiana di principale riferimento. Proprio come in Zambot 3, il focus sui rapporti familiari e sul sacrificio è particolarmente spiccato, ma la cosa deventa forse ancor più evidente apprendendo (dalle interviste del regista) che nel finale avrebbe dapprima dobuto morire anche Electra in un omicidio-suicidio con il suo amato Nemo, idea poi accantonata con una considerazione del regista in fase di produzione, secondo la quale "una donna in attesa di un bambino vorrebbe vivere". Da notare che questa riflessione cos' realistica e concreta, anti melodrammatica e per nulla infantile, è forse la cosa più tominiana di tutte e merita il più grande plauso.

I due protagonisti, Jean e Nadia, incarnano alla perfezione il dualismo della personalità dell'autore. Jean rappresenta il suo lato maschile, più bambinesco e ingenuo, molto idealista e fiducioso, ovvero prettamente otaku; Nadia è invece la parte più adolescenziale del regista, più affine alla sensibilità femminile (oltre ai tokusatsu e alla science fiction Anno amava le dinamiche psicologiche degli shoujo manga), ricoperta di traumatiche ferite e del tutto irrisolta nei suoi tormenti esistenziali, isolata e sfiduciata. E difatti, altro elemento di dualismo, Nadia ama la natura (ovvero il "non-umano"), Jean la scienza e lo scibile umano. L'opera stessa, un po' come lo era Kimagure Orange Road qualche anno prima, è in estrema sintesi la risoluzione, vuoi mediante l'amore, vuoi mediante l'accettazione delle figure genitoriali perdute, di una ragazza sola, cupa e problematica. Ovvero, la serie animata è a tutti gli effetti la storia di come Jean recupera ovvero salva Nadia, tanto quanto KOR è la storia di come Kyousuke recupera ovvero salva Madoka. Certo nel secondo caso non c'era di mezzo il destino del mondo e di tutta la specie umana, ma del resto Anno Hideaki è pur sempre sé stesso, con i suoi referenti, i suoi feticci, le sue prospettive ineludibili. In altre parole, nelle sue proiezioni artistiche un "lato adulto" sembra ancora "non pervenuto", nonostante tutti i buoni propositi, nonostante tutto, nel bene e nel male. Tuttavia, la tipica voglia di "verità umana" del regista Anno, come nelle opere fantascientifiche di Tomino, o in quelle più realistiche di Takahata, fa sì che al netto di tutti i diletti da otaku, i totem e le gag, la serie presenti dinamiche psicologiche credibili e sfaccettate, che la rendono sicuramente una narrativa valida e fruibile anche per chi un bambino non lo è più né desidera restarlo, proprio come l'animazione dei due grandi maestri anziani.

E in effetti, le affinità di Fushigi no Umi no Nadia con le opere della celebre filone Sekai Meisaku Gekijou si sprecano: Anno è infatti notoriamente appassionato di Akage no Anne di Takahata Isao, serie citata e presa come "spunto di partenza" altresì in Evangelion – in Nadia, il vecchio macchinista di colore del Nautilus dice sempre «Sou sa naa...», che era la battuta trademark di Matthew Culberth, dall'originale «Well, now...» nel libro della Montgomery. Ma soprattutto, Anne è la ragazzina rifiutata (più volte!) negli affetti familiari, che deve faticosamente costruirsi e risolversi in termini di identità, personalità, psiche, così come saranno i children in Evangelion. E anche nella serie precedente Jean e Nadia sono entrambi orfani, inseguono nel bene e nel male una pesante eredità paterna, vivono nella negazione di una vera figura materna e ritroveranno sé stessi mediante la perdita (in particolare Nadia). In particolare l'idea del genitore femminile rappresenta una figura ancora sacrale, da ricercare nei mari o sotto forma di comunione spirituale (l'anima della madre di Nadia risiede nella Blue Water, così come la madre di Ikari Shinji risiede nell'UnitàPrima). La famosa "pietra azzurra", correttamente chiamata Blue Water – totem familiare tratto dal libro (e dall'omonimo vecchio film che ne era stato tratto) intitolato Beau Geste, una delle idee di base dell'opera animata dapprima concepita da Kubota Hiroshi –, con i suoi pattern alchemici impermanenti, rappresenta il vero Spirito, volendo la cabalistica "sede dell'anima", ghiandola pituitaria e Pietra Filosofale (la Blue Water!) che di si voglia, che è in grado di vincere la materia (l'Oreixalkon artificiale di Gargoyle, essendo fallato di natura, fa esplodere la replica della Torre di Babele; lo spirito di Neo fa muovere, mediante la sola volontà, un corpo-macchina privo di alimentazione). Questo conflitto tra il potere della scienza, visto come massima virtù ma anche massimo rischio del genere umano, un'arma sempre a doppio taglio - una mentalità ereditata dalla fantascienza di Michael Chricton, soprattutto – in Anno Hideaki viene sempre bilanciata non solo con una ricerca di un ambito realmente mistico, trascendente, ma persino con un senso di profonda esaltazione dell'anima, dell'animo umano. Una spiritualità profonda che riecheggia in tutte le sue opere, dove spesso sono la "volontà dell'uomo" (l'Imperatore Neo) e "le mani dell'uomo" (Takaya Noriko, Katsuragi Misato) a compiere, ovvero realizzare quei "miracoli" dove la scienza fallisce, persino la divinità fallisce, e i cui valori si manifestano solo una volta che "i miracoli sono stati compiuti".

La succitata tendenza di Anno alla sublimazione mistico-esistenziale non stupisce affatto: il regista rimane sempre e comunque un otaku "di prima generazione", in particolare uno dei bimbi affascinati dal progresso scientifico messo in mostra alla celeberrima expo di Osaka70, e così sarebbe stato dapprima grande appassionato di letteratura SF vecchio stampo (che tendeva pesantemente al misticismo e al transumanesimo), poi di cinema fantascientifico "classico", quindi un consumatore di intrattenimento televisivo per bambini giapponesi settantini, ovvero ricolmo di idealismi infantili a tutto tondo, dai quali tipicamente l'otaku non riesce più ad emanciparsi. Del resto lo stesso, pressoché archetipale Uchuu Senkan Yamato, verso il cui stile Nadia paga forti debiti fin da principio e verso gli ultimi episodi converge sempre più, era una grande narrazione epica e romantica (in senso letterario), militarista ma umanista (forse un ossimoro), con tanto di miracolo finale e sentimenti eterni sugli scudi – per l'umanità, per la propria donna, per l'ideale di famiglia.

La famiglia, tra l'altro e per forza di cose,  costituisce il "nucleo umanistico" di Nadia, tant'è che ella e Jean formano fin da subito una coppia (e la piccola Marie lo recepisce immediatamente, riconducendosi velocissimamente a figlioletta acquisita). Nemo, padre naturale di Nadia, è il tragico Papà Gambalunga dell'orfanella Electra, che lo ama radicalmente proprio secondo il complesso da cui trae il suo stesso nome; Grandis a suo modo e suo malgrado diviene la figura materna (improvvisata, sgangherata, inaspettata) di riferimento per Nadia; Hanson e Sanson, che al fedelissimo servizio della loro "sorellona" Grandis ricalcano pedissequamente il Trio Drombo delle Time Bokan con in più una spruzzata dei sempre amatissimi (anche in Giappone!) Blues Brothers, sono altresì delle figure di riferimento maschile adulto per Jean, che nella sua crescita si confronta sia con l'otaku tecnomane cresciuto, inventore geniale ma spiantato (Hanson), sia con il maschio forzuto e virile che incarna un po' l'uomo semplice e prestante, quasi un potenziale buon padre di famiglia (Sanson). In particolare, quest'ultimo insegna a Jean il più tradizionale senso (tominiano) dell'avere una relazione di coppia: il maschio deve provvedere alla sua donna e proteggerla, senza perdersi in cose da otaku. In un certo senso, già a questo punto Anno parla un po' con sé stesso, "facendosi sgridare" da Sanson nel momento in cui lui sdegna in modo burbero il pur tragico e violentissimo tentato suicidio di Nadia, una cosa sì da traumatizzata e shockata, ma ancora palesemente infantile nella sostanza depressiva autocommiserevole. Fortunatamente, ci aveva pensato già "mamma Grandis" schiaffeggiare pubblicamente la bambina, che aveva fatto preoccupare tutti quelli che le vogliono bene. Difficile pensare che qui il regista non avesse voluto far empatizzare il pubblico con "le ragioni della madre", piuttosto che con quelle "della figlia", che ha comunque intorno così tanto affetto. Nadia infatti lo capirà, si scuserà, e il tutto significa crescita reale.


E poi c'è Gargoyle, il vero antagonista della serie, che come cliché ricorda davvero molto Muska di Tenkuu no Shiro Laputa – il film di Miyazaki che nel 1986 era nato dallo stesso progetto iniziale mantiene quasi una corrispondenza geometrica  con i personaggi del successivo Nadia. Anche in questo caso abbiamo a che fare con un tecnocrate dalle spiccate velleità transumaniste, novello dittatore con la propria personale metanarrazione scientifico-esoterica, nonché usurpatore del trono del legittimo re. Anche la sua Neo-Atlantide è dotata di un esercito simile a quello nazista, che non si fa problemi a uccidere donne e bambini e a utilizzare la tecnica per compiere efferati stermini di massa. Tuttavia, se Muska è una persona la cui spiccatissima intelligenza è eguagliata dalla sua profonda repressione di nascita, che sfoga usando un certo livello di violenza e paga con una morte infima, così non è per Gargoyle, che un tempo primo ministro e amico del futuro capitano Nemo è piuttosto guidato da sincere convinzioni eugenetiche rivolte a un ideale "buon governo", e trova infatti una vera risoluzione in punto di morte, di certo un "cattivone" ben più educativo nel suo ruolo rispetto al suo omologo Miyazakiano. Al suo opposto abbiamo quindi Nemo, un tempo re di Tartessos (Eleusis Ra Arwall), il paese fondato dalle rovine della stirpe dei paleoastronauti di Atlantide,  caduto vittima del colpo di stato militarista mosso dal suo amico e primo ministro Nemesis Ra Algol, poi appunto Gargoyle, per fermare il quale si è macchiato dell'estremo atto dell'autodistruzione del suo regno e dell'olocausto del suo stesso popolo.

Gli ideali di Nemo sono quelli di un socialismo reale e ideale, globalista, e soprattutto umanista. La sua lotta contro la macchina industriale di Neo-Atlantide è quella "partigiana" dei ribelli del Nautilus, un gruppo di rinnegati senza passato che si uniscono nella lotta  per conservare la libertà degli esseri umani, quasi come l'equipaggio dell'Arcadia al cui comando c'è il celebre pirata romantico Captain Harlock, uno degli antieroi più celebri del manga e dell'animazione giapponese, che solcava il buio dello spazio per difendere un'umanità che pure lo rinnegava. Analogamente, gli scontri tra "partigiani" e "nazisti" in Nadia si svolgono per la maggior parte nelle scurissime profondità marine, dove il realismo registico di Anno crea una tensione molto marcata – se si viene colpiti da un solo siluro o si tocca una singola mina è pressoché finita: game over e tanti saluti. Il tutto nella cupezza claustrofobica degli ambienti sommergibilistici e nell'ansia del silenzio dell'attesa rotto dal lento, ma ossessivo, riecheggiare del laconico sonar. Gli stessi "mari delle meraviglie" di cui il titolo della serie sono del resto pieni di fantasmagorie affascinanti ma spaventose, dalle faglie profondissime alla fauna ittica preistorica. Il design del Nautilus è sublime (una curiosità: il motore "Orpheus" del N-Nautilus è probabilmente un omaggio al Project Orion della NASA); gli ordini di Nemo (ispirato a Bruno J. Global di Macross e al capitano Okita della Yamato) sono secchi, tempestivi e precisi; i variegati membri dell'equipaggio rimandano agli ideali di universalità di Tomino Yoshiyuki, che ai tempi dell'anime boom proponeva equipaggi multinazionali/multietnici (contrariamente alla poetica "tradizionalista" soprattutto di Nishizaki).

 

Le musiche di Sagisu Shirou, così incalzanti ed evocative, si accordano perfettamente sia con le gag oiù bambinesche che con i picchi di tensione scenica o genialità visiva (e concettuale) di Anno. Alcuni episodi pensiamo si avvicinino al capolavoro totale dell'animazione di tutti i tempi, in particolare l'episodio 22, in cui viene narrato il passato di Electra in una perfetta commistione di realismo, surrealismo, poesia e melodramma esistenziale. Peccato tuttavia per quegli episodi non diretti da Anno ma dal suo amico di sempre Higuchi Shinji, i cosiddetti "episodi delle isole" (dal 23 al 30), nei quali certamente si assiste alla crescita dei protagonisti e del loro rapporto, sebbene la qualità generale dell'anime, da capolavoro qual'era, crolla inesorabilmente, per poi risollevarsi nel pregnante episodio 31 (in cui Anno torna brevemente alla regia). La qualità generale, dopo questo picco quasi ai livelli del 22, si riabbassa ulteriormente con i tremendi episodi africani (32, 33 e 34), forse davvero gli unici del tutto vuoti e persino stonati con l'evoluzione dinamica dei personaggi, per poi tornare a pieno regime sotto il controllo del geniale regista, che crea un finale indimenticabile caratterizzato da una spiccata auto-analisi tinta di dramma universale.

 

Battaglie epiche nello spazio, rimandi a 2001:ASO, miti della creazione tratti del Ciclo dei Giganti di Hogan (tra l'altro il regista mette in scena persino il celebre Saturno che mangia i suoi figli di Goya); ma, soprattutto, un inno alla vita (e qui Anno torna ad essere Takahata) proprio urlato: «Nadia... donna ni atte mo, ikirou!»   («Nadia... per quel che dovesse accadere, vivi!»). Tutto questo, e anche altro, si mescola alchemicamente in un vero crescendo che porterà a un climax di drammaticità statica degno di una pièce teatrale, che vive della significanza dei dialoghi e del confronto dei personaggi apicali della serie, ciascuno con tutto quello che rappresenta, tra espiazioni e risoluzioni dei protagonisti. Vero e proprio coronamento di quanto detto sopra sono due scene fondamentali: quella in cui Hanson, l'otaku adulto, dice addio e fa saltare in aria il Gratan, il suo amatissimo giocattolo e capolavoro, per salvare gli altri; nonché quella dell'epilogo, in cui persino la piccola Marie, ormai cresciuta, dopo essersi sposata con l'uomo che giocava con lei da sempre (una coppia annunciata e messa in scena sotto gli occhi di tutti) aspetta il suo primo figlio mentre annuncia la seconda gravidanza di Nadia, per un totale di vittoria dell'impermanenza delle cose, ed ergo della vita, sul "congelamento" adolescenziale/lolicon dell'otaku in generale.

Per concludere, riportiamo qui le parole della sigla di chiusura adattate in italiano: si tratta di un testo molto femminile e cupo, che senz'altro rende l'idea di come invero si sente Nadia/Anno. Parole di solitudine si mescolano alla rincorsa di un aeroplanino giocattolo, di un sogno infantile che è sempre più distante, difficile da raggiungere, per una corsa di gruppo animata in monocromo da Anno Hideaki in persona che sembra il più bell'omaggio mai reso a Miyazaki Hayao (notoriamente fissato sull'idea di esprimere la personalità dei vari personaggi nel loro diverso modo di correre).

Ansietà
Sin profondo del cuore
Cosa potrei fare mai?
Distante il sogno mio
È andato a scomparire agli occhi
Ma se mugugnando
Il mio sguardo alzo al cielo
La promessa che mi scambiai con te
Si proietta radiosa.
TRY!
Parole di conforto non so che
Un vento che l'animo non tocca mai
Solo l'angoscia c'è
Che mi abbranca e che
Si ingantisce, però
Siccome è qualcosa che io stessa ho scelto
Starò forse bene anche da sola, sai
E anche inciamperò
E mi smarrirò
Un domani pur ci sarà.

Il finale della canzone sembra aprirsi su di un vasto cielo. E forse chissà, come insegna anche Galaxy Express 999, nella vita ciò che conta veramente è il viaggio, non la meta. In ogni caso, come opera rivolta ai bambini, l'epopea di Nadia si conclude con un appagante epilogo pienamente risolutivo.  Ed è per questo che chi scrive vorrà fortemente ignorare l'esistenza di un film sequel della serie, realizzato per dare seguito più al grande successo di pubblico riscosso dalla prima che ai suoi contenuti. Senza il contributo del regista originale.







8 commenti:

  1. Complimenti, se posso, ad entrambi per la recensione, ricchissima di spunti e di riflessioni per chi apprezza questo anime :), seguo da un po' il blog con molto interesse, ora vorrei lasciare un commento per esprimere una mia impressione/suggestione riguardo a Nadia che ho sempre avuto, ma non ho potuto verificare in altri. Ho sempre pensato che parte del background dal quale si sviluppa Nadia sia stato influenzato dal Silmarillion di J.R.R. Tolkien (per come è stato curato dal figlio Christopher), per varie ragioni: le pietre azzurre, che sono 3 come i silmaril e che non tollerano il contatto con chi è "malvagio"; Gargoyle, la cui figura e vicende ricordano quelle di Sauron come nella caduta di Numenor; la retorica del passaggio di testimone dalla "razza superiore" agli uomini, così come nell' opera di Tolkien la terra viene ereditata dagli uomini, che prendono il posto degli elfi; la resurrezione di Jean grazie al sacrificio di Nadia che rinuncia alla pietra e al suo potere, come Luthien salva Beren rinunciando all' immortalità della sua stirpe. Sono consapevole di come questa mia ipotesi sia destinata a rimanere non verificabile e probabilmente frutto di una semplice e ingenua sovrapposizione di influenze propriamente idiosincratiche, tuttavia volevo lasciare questa piccola aggiunta nata da rifessione personale ad una recensione completissima e che ha veramente poco margine di miglioramento :)

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    1. Ciao, grazie per il commento. :)

      Non saprei se Anno fosse appassionato di Tolkien, ma penso che i cliché della fantascienza (che Anno leggeva) e del fantasy siano molto simili. E sopratutto i rimandi a certi archetipi che tu citi, che ritroviamo anche nella mitologia o nell'esoterismo. Infatti esistono anche dei siti che descrivono Nadia come opera alchemica/esoterica/massonica.

      Io stesso da ragazzino avevo disegnato Nadia e il Red Noah su un libro sugli alieni, che aveva Laputa in copertina.

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    2. Grazie per la risposta :) In effetti pensandoci bene più che Tolkien e i suoi romanzi mi pare di vedere gia "in nuce", per così dire, alcuni elementi chiave di Evangelion, ovvero i temi della filosofia gnostica precristiana/neoplatonica (sebbene sia d' accordissimo sul fatto che questi non siano i contenuti portanti, la loro presenza è innegabile). D' altronde si può dire che forse l' ispirazione sia stata la stessa per entrambi gli autori, o almeno così a me pare.

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  2. Sicuramente i punti di fascinazione che Anno mostrava in Nadia, tipici della SF letteraria, cinematografica e televisiva e dei suoi stessi temi, sono del tutto "coerenti" tanto in Nadia quanto in Evangelion.

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    1. Senz' altro : ) D' altronde anche un regista come Mamoru Oshii è quasi maniacale nella sua ossessiva riproposizione di temi e idee a lui particolarmente cari, e a me sembra che i risultati migliori in campo artistico vengano nei momenti in cui non si separa il proprio vissuto personale, il proprio patire, dal proprio lavoro.
      Mille grazie del commento, mi scuso per la risposta un po' tardiva : )

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  3. Si può dire che i suddetti infami episodi (32-33-34) siano praticamente totalmente skippabili senza perdere nulla dell'opera (anzi!) :)

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  4. Il VERO capolavoro di Anno e della Gainax (molto di più del blasonatissimo Evangelion) e, insieme alle Ali di Honneamise, un'opera che va riscoperta per il BENE delle nuove generazioni, affinchè possano conoscerle ed amarle.

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