venerdì 25 dicembre 2020

Narutaru: Recensione 2 .0

 Titolo originale: Narutaru

Autore: Kitoh Mohiro

Tipologia: Seinen Manga

Edizione italiana: Star Comics 

Volumi: 12

Anno di uscita: 1998

 


Opera dalle molteplici stratificazioni, Narutaru è indubbiamente una tragedia. Se si vuole affrontare un’analisi del manga, bisogna quindi partire da questo presupposto, per poi arrivare a considerare, più in superficie, la denuncia sociale (e politica) messa in atto dall’autore.

In primis ci si potrebbe chiedere, come fece Nietzsche, da dove abbia avuto origine la tragedia, considerando purtuttavia che l’opera è orientale, ed ergo costruita su fondamenta ben diverse dal romanticismo tedesco, dall’idealismo e dal dualismo Cartesiano. Rimane comunque un nesso con la tragedia greca antica: forse, la cosa più angosciante di Narutaru, è come esso evidenzi, con il suo essere violento, morboso e malato, sia l’inettitudine dell’essere umano – non ci sono eroismi nell’opera, solo bassezze -, sia il suo essere predestinato all’inevitabile fine, che per Kitoh, autore dalle influenze taoiste, è allo stesso tempo rinascita.

Siamo nel 1998, e i Pokémon sono una realtà commerciale molto popolare presso i giovani, mentre Evangelion lo è per gli adulti. L’idea di base dell’autore è di coniugare le due cose: avremo dei ragazzini con i loro mostri (Shiina, la protagonista, esteticamente è molto affine alle ragazzine della Nintendo) in un contesto drammatico, psicologico, filosofico e metanarrativo alla Evangelion. Essendo poi Narutaru un seinen manga, l’autore non si pone alcun limite nell’esporre situazioni molto violente e morbose, coadiuvate da un tratto tagliente e asettico che rende i personaggi molto simili alle bambole – e quindi incapaci di svincolarsi dalla loro condizione di tragici, di marionette mosse dalle fila del destino.

  A fondamento della narrazione dell’opera, abbiamo il nulla, il caos, lo yin e lo yang. Ognuno di questi costituenti dell’universo è rappresentato esplicitamente da un personaggio. Di certo nulla e caos sono complementari: la vita è entropia e disordine, e pertanto è caotica – il personaggio che rappresenta il caos, Tsurumaru, è ossessionato dal voler fecondare le sue compagne, ad esempio. Invece il nulla è l’assenza di desiderio, ossia la negazione di ciò che è il motore della vita (l’indifferenza omicida di Sudo). In mezzo a questi estremi vi è la coscienza umana, che è in balia di ciò che Schopenauer chiamava wille, la volontà/voglia di vivere. Da qui, le persone soffrono, perché i loro desideri non si realizzano. Il desiderio di avere una famiglia unita (Shiina), il desiderio di dare un figlio al proprio amato (Norio), il futile desiderio di potere (i governativi), giusto per citare alcune casistiche messe in evidenza dall’autore, il quale, credo involontariamente, ripropone Leopardi (la Natura non si cura dei figli suoi, e là dove non c’è la malvagità umana a distruggere, c’è l’impermanenza delle cose nel tempo, la morte e la malattia). 

Eppure, da giapponese, Kitoh fornisce comunque alla Natura un potere illimitato, terribile, ma dal volto candido (Shiina). In Narutaru c'è lo stesso contrasto, insito nell'animo dei giapponesi, legati per via dello shintoismo a certe superstizioni animistiche, tra la civiltà/scienza occidentali e gli attributi materni della natura (si pensi al fatto che ad un certo punto viene introdotta Mamiko Kuri, che fa da "ombra" a Shiina: per un giapponese la Natura non può essere soltanto "matrigna crudele", ma anche "bambina wabi-sabi").

Dal nichilismo che par gridare a un errore di fondo alla base dell'esistenza, si ha la simbologia dello stupro, dell’indesiderato, che si insinua all’interno del corpo, e quindi della coscienza. Il “danno” primigenio, causato da questa wille che risiede nello spirito del mondo, volendo nel noumeno Kantiano, è altresì un “danno” individuale. Narutaru è un manga sul "danneggiamento", sulla "rottura", che cerca di indagare, senza darsi una risposta, su frammenti di eterno. 

Ogni personaggio di Narutaru è fragile, traumatizzato, frustrato; una bambola come quelle di Bungo, ossia con le gambe mozzate. Ma di fronte all’abisso del nonsenso, rimane comunque la possibilità (estrema) di scegliere, di liberarsi, allo stesso modo dei tragici greci. «O ci si adatta al mondo circostante, modellandosi in base ad esso, o si fa in modo di cambiare il mondo perché sia adatto ad accoglierci come siamo». Ovviamente, questo tentativo di cambiamento ha un prezzo molto caro. 

Dato il contesto storico in cui è nata l’opera, non è difficile trovarvi riferimenti all’Aum Shinrikyo : il gruppo di ragazzini che possiedono dei “draghi” (i Pokémon/Digimon della situazione), hanno le idee molto simili a quelle di Asahara Shoko (vedasi ad esempio la citazione di cui sopra), e si comportano come una vera e propria setta. Per Sudo, il “guru” pseudo-antagonista di Tamai Shiina, l’umanità va purificata mediante un genocidio di massa. Verrà quindi scatenata nel corso della trama una guerra nucleare stile Devilman, con tanto di brutali attacchi chimici a danno di militari e civili (l’inquietante drago della complessatissima Ozawa Satomi, una vera e propria macchina per uccidere).

L'insofferenza verso l’occupazione americana maturata dai shinjinrui nel dopo-baburu, espressa con lucidità da Oshii Mamoru nel suo Patlabor II, e meno brillantemente da altre opere del periodo che non sto a citare, è  molto marcata negli otaku della generazione di Anno e Kitoh. Di fronte a questa evidente metalettura, in Narutaru i ragazzini con i draghi sono i giapponesi smarriti e frustrati sia dalla società in cui vivono, che li reprime, sia dalla loro impotenza di fronte al potere, che li esclude. Ma una volta che il potere viene loro concesso, la rabbia esplode, e annichilisce ogni cosa, pure loro stessi (sotto questo aspetto, Narutaru è un manga squisitamente punk). Non per nulla un personaggio fa la seguente osservazione: «Ormai la discriminazione è diventata parte integrante della società. Sembra quasi che una società senza discriminazioni non possa più esistere…» Eppure, la ricetta che proprone Sudo a tutto ciò è una sorta di neonazismo mistico-ambientalista, discriminatorio a sua volta, mentre Shiina, che come tutte le persone dolci nasconde un lato profondamente rancoroso e intollerante, una volta diventata Dio –tendenza molto comune nei 90s -, giudicherà l’attuale umanità immeritevole di esistere.

Ritorna quindi la tematica della futilità del potere, anche se la scelta di Shiina, allo stesso modo di quella del protagonista del Mars di Yokoyama, viene triggerata come reazione alla bassezza degli esseri umani, che una volta perso il substrato di comodità e formalismo fornito dalla civiltà/società tanto disprezzata dai ragazzini del manga, si rivelano paurosi, meschini, violenti e aggressivi (e qui Kitoh dà ragione a Hobbes: homo homini lupus).

Molto interessante il rapporto di Shiina con la madre, e come la trama stessa dell’opera venga messa in moto dalla morte della sorella della protagonista. Si potrebbe vedere la storia, volendola mettere su un'altra stratificazione concettuale, come il percorso compiuto da Shiina nella riabilitazione della figura materna, che nonostante la freddezza e la difficoltà del rapporto,  l’ha sempre amata (è molto poetico che Shiina capisca veramente sua madre intuendo il vero significato del nome che ella le ha dato). Non per nulla, se viene a mancare l’amore della madre, a propria volta si è incapaci di amare, o quantomeno si vive in maniera confittuale il prioprio essere donna. Di nuovo, proprio come la vicenda di Asuka in Evangelion, mother is the first other.

E poi anche Shiina diventerà madre, ma con una sigaretta in bocca e il viso smunto, proprio come la genitrice. L’innocenza lavata via dalla durezza della vita. La ciclicità delle cose.


Rimangono poi delle sottotrame slegate dalla trama principale dell’opera, come ad esempio la vicenda della strega Baba Yaga, molto suggestiva a livello grafico ma molto fine a se stessa nel voler ribadire il mito dell’Urashima Tarou, che appare a più riprese nel corso della storia (ad esempio, la sorella defunta di Shiina viene chiamata Otohime, che è la principessa del palazzo del Dio drago, quella che consegna al pescatore Tarou la scatola in cui è contenuta la sua vecchiaia). Nel caso di Narutaru, sia i draghi/Pokémon che gli esseri nudi  e pieni di tatuaggi (come la sorella di Shiina) sono legati ad un concetto di eternità, di tempo settato a zero. Tuttavia, la scatola che fa invecchiare di colpo, e quindi risvegliare/morire, verrà simbolicamente aperta da ogni personaggio (si pensi all’effetto collaterale del possedere un drago), nonché dalla Storia stessa dell’umanità, un’umanità fin troppo "congelata" nelle sue illusioni.


Per concludere, tutta questa architettura simbolica, filosofica e concettuale, viene tuttavia sporcata dall’inesperienza dell’autore (il cui capolavoro è Bokurano), che in questa fase della sua carriera è ancora molto “nagaiano” a livello di improvvisazione del plot. Infatti alcune sottotrame legate a personaggi trascurabili si rivelano leggermente stridenti. Ciò detto, per quel che mi riguarda, Narutaru rimane uno dei miei manga preferiti in assoluto (il mio nickname deriva dalla sua fragile, cupa e tormentata comprimaria, Akira Sakura), sia per la sua bellezza e il suo fascino senza tempo, sia per la sua schietta, genuina brutalità, sia ontologica che metanarrativa. Opere al vetriolo come questa sono ormai impossibili da concepire nell’oggidì. Perché Narutaru è una vera e propria scheggia impazzita incurante di tutto, una lama di rasoio destinata a sconvolgere irrimediabilmente il lettore.

10 commenti:

  1. Vedi, ho fatto bene qualche giorno fa a scrivere di te "elegante come pochi".
    Penso tu sia tra i migliori blogger in circolazione: NESSUNO, credo, ha mai parlato di Narutaru in questo modo così profondo.
    Forse, in Italia, non fu nemmeno capito del tutto... su Kappa -a puntate- per me fu acquistato senza immaginare dove andasse a parare, anche perché inizialmente davvero poteva sembrare Pokémon+Eva, dove gli alieni sono comunque i relitti di un pianeta lontano (narutaru) e le questioni adulte erano sentimenti e militarismo.
    Poi iniziò a essere shockante... la provetta infilata lì, i vermi, il sesso precoce... sono cose abbastanza disturbanti, quasi una virata in corsa rispetto a come era iniziato.

    Condivido tutto quel che dici, anche l'inesperienza dell'autore che forse un po' ha sporcato (caricato?) l'opera.
    Però reta un grande manga, filosofico e particolare come pochi.

    Moz-

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    1. Grazie Moz, è stato bello rileggere uno dei miei totem personali e cercare di recensirlo nuovamente. Forse la maturità di Bokurano consiste nell'essere a parimerito "pesante" ma in modo più puramente "intellettuale". Poi per carità, Narutaru rimane un pezzo di storia. E poi trovo che tutto il discorso dell'antiamericanismo sia stato affrontato (come tutto del resto) senza filtri, cosa rara per un autore giapponese.

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  2. Certo che pensando a certe cose di Narutaru, Saikano sembra molto più banale, semplicemente più improntato sulle "Situazioni di Lui&Lei".

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    1. Saikano per quanto sia stato nel suo piccolo affascinante secondo me non ha la profondità filosofica/psicologica di Narutaru.

      Anche il trauma di Chise non è davvero reale (è una roba da visual novel anni 90 in fondo). Invece in Narutaru i problemi sono riconducibili alla realtà, anche quando l'autore sfocia nella politica.

      Sopratutto il fatto che quando viene dato il potere a questi giovani traumatizzati, loro facciano veramente il peggio del peggio. Il contrario di Gundam in pratica. Apocalissi Kannon-iche a parte.

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  3. A riguardo scrisse cose mirabili Andre Green elaborando il concetto di madre morte, e declinando una diversa reazione nei due sessi. Ben prima di Evangelion, e senza tutte le pagliacciate animate ^^

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  4. Credo anche una certa Melanie Klein parlò ci cose affini: "scissione del seno" (sì, SPLITTING OF THE BREAST).

    AkiraSakura: sì, Saikano è psicodrammatico e apocalittico, ma meno intellettualoide di Narutaru. Ognuno ha il suo tipo di masturbazione mentale. Gli autori, i lettori. Chi i melò (in tutte le chiavi), chi la filosofia (in tutte le chiavi). Alla fine sono sempre e solo "ragazzine carine & fine di mondo". Una cosa da manga shounen, insomma. Una cosa da travaso di testosterone, che porta a una forma di delirio. Tutto normale.

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    1. La fine del mondo c'è anche nella psicologia femminile postmoderna (guarda il mio avatar).

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    2. Era un'autrice contaminata da cliché narrativi giovanili maschili (sentai), la cui opera venne poi tradotta in animazione televisiva seriale - dove la categorizzazione di target/genere non è mai tanto nitida. Infatti il tuo avatar è un feticcio moe-otaku per maschietti, mica tanto per femminucce. I conti tornano.

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    3. Quindi anche la mela marcia è creazione maschile? Non saprei.

      Vabbò che la guerra è cosa maschile, mentre la preservazione della vita e del corpo femminile.

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    4. No, personalmente non credo che quel tipo di psicologia depressiva "narcisistico-vittimista" sia maschile. Ma non sono neppure del tutto convinto che Hotaru ricada in quel gruppo, come non ci ricadeva Beth, né tante altre "anime belle" sacrificate nella loro femminea giovinezza per amore di effetto d'adorabilità della narrazione. Più del "kawai" il "kawaisou", più del "kawaisou" il "karen". Vecchia vecchia storia. Vecchia come l'uomo.

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